Il dolore merita rispetto. Non ha colore, nome, orientamento. Il dolore è dolore e basta. E non è neanche immaginabile quale strazio stia dilaniando la vita e il cuore di due genitori che hanno perso un figlio in modo tragico e assurdo, per quello che l’assessore Guido Improta ha definito «fatale errore umano» e che in una frazione di secondo ha trasformato il guasto di un ascensore in una tragedia.
Ieri pomeriggio a Roma faceva caldo, era l’ennesima giornata bollente di un’estate da bollino rosso. Una mamma e il suo piccolo di quattro anni fanno un giro per negozi, ci sono i saldi, si può acquistare qualcosa per il mare. Per tornare a casa è possibile prendere la metro, anche se ultimamente l’ATAC fa capricci, ci sono scioperi bianchi, rallentamenti, vagoni soppressi. La fermata Furio Camillo è dotata di scale mobili, ma sono sempre rotte, viene il fiato corto a fare i gradoni a piedi; se poi devi spingere un passeggino è impossibile scendere, il passaggio è stretto, il caldo non aiuta. Allora c’è un ascensore per raggiungere i binari, conviene prenderla, si arriva in pochi secondi. Ma la manutenzione degli impianti è quella che è, anni di incuria si fanno sentire: l’ascensore si blocca, la mamma e il bambino restano intrappolati e fa caldo, tanto caldo. La procedura d’emergenza, come ricorda con rigore Improta, prevede l’intervento degli addetti alla manutenzione entro i primi trenta minuti dalla segnalazione. Il panico però è ingovernabile, e lo sa bene l’agente di stazione che, con quello che è stato definito «eccesso di generosità», tenta il trasbordo dei passeggeri da un ascensore all’altro. Un attimo e la tragedia. Forse uno scatto, forse un errore, non sta a noi giudicare; il bambino cade, è la fine. Un piccolo di quattro anni ha perso la vita e quella dei genitori si è fermata per sempre.
Perché sopravvivere a un figlio è quanto di più straziante possa esserci. La vita è un soffio, è un filo che si spezza troppo facilmente e vedere il frutto del proprio amore morire così, per una tragico intrico di concause è un dolore troppo grande, talmente immenso da non poter essere compreso. Un bambino è morto, tutto il resto è sullo sfondo. O, almeno, la disperazione e il dolore dovrebbero lasciar posto al silenzio, al rispetto.
Così non è stato. Poco dopo la tragedia, il sindaco Ignazio Marino si è recato sul posto per incontrare i genitori del piccolo; si è trattenuto con loro, ha fatto sì che una presenza istituzionale fosse, prima di tutto, una presenza umana. Ad accoglierlo all’uscita di Furio Camillo un coro di fischi da stadio, di voci sguaiate urlanti i soliti slogan, di fischi indegni e senza senso, figli di una politica d’odio che tende a vedere un capro espiatorio in tutto, pronta a puntare il dito contro l’uomo scomodo, che magari fa pulizia in un sistema marcio fino al midollo. Ma questa è politica, e la politica deve restare fuori da questa storia, che è innanzitutto e solo una tragedia umana.
Sembra non averlo capito Roberta Lombardi, prima portavoce del Movimento 5 Stelle che ieri sera, in un’eccesso di retorica grondante stupidità, si è sfogata sui suoi amati social parlando di una «Roma di Marino degna del terzo mondo», non smentendo la sua innata capacità di generare disgusto nelle persone dotate di umanità e buon senso.
Ma il punto più basso e vile che si è stati in grado di toccare nel commento a questa vicenda potrete vederlo da voi recandovi in edicola; tra un Corriere della Sera in sciopero e le altre grandi testate nazionali potrete infatti trovare una delle solite chicche targate Libero. Il quotidiano di Maurizio Belpietro, sotto all’immagine di un Papa Bergoglio “comunista”, ha sbattuto in prima pagina il mostro Ignazio, dandogli addirittura dell’assassino.
«La metro di Marino uccide un bambino»: questo il titolo scandaloso dato dal giornale all’articolo di Franco Bechis, un pezzo che solo per questo meriterebbe un boicottaggio senza limiti di tempo. Passi per i “brillanti” reportage sulla protesta dei camion bar, per i maiali appositamente collocati tra i rifiuti dai futuri arrestati d’oro di Mafia Capitale per screditare il sindaco-chirurgo, ma questo no. Non si può sfruttare una tragedia per il puro gusto di dare addosso a un avversario politico. È chiaro che chi ha sbagliato dovrà pagare, che la situazione dei trasporti capitolini dovrà subire un cambio di rotta epocale, ma accusare il sindaco di qualcosa di cui non ha responsabilità è un atto vile e vergognoso, tanto più perché perpetrato ai danni di una famiglia che sta soffrendo. Un bambino è morto, e nessuno lo riporterà indietro. Sfruttare la sua fine a scopo speculativo è rivoltante e se Bechis, dopo la rassegna stampa di stamattina, riuscirà ancora a guardarsi allo specchio, viene davvero da chiedersi se non sia l’essere umano l’unica, grande anomalia di questo pianeta.