Dopo lunghi momenti di incertezze e di attese, la crisi di governo ha avuto la sua conclusione il 20 luglio, con le dimissioni del premier Mario Draghi. La crisi si era aperta ufficialmente il 14 luglio, quando il Movimento 5 Stelle aveva deciso di non votare la fiducia in Senato sul Decreto Aiuti. Il provvedimento era passato comunque, ma Draghi aveva presentato le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica. Il quale, però, le aveva respinte, invitando il premier a chiedere la fiducia alle Camere. Arriviamo dunque al 20 luglio, quando, al Senato, si assiste a un colpo di scena inatteso: Lega e Forza Italia non partecipano al voto, mentre il Movimento 5 Stelle si astiene. Il governo ottiene comunque la fiducia, ma la mattina seguente, dopo un breve discorso alla Camera, Mario Draghi sale al Colle per rassegnare le proprie dimissioni. Stavolta, Mattarella le accetta segnando la caduta del governo Draghi.
All’origine della caduta del governo Draghi
In realtà, negli ultimi mesi il governo ha fatto sempre più fatica a mandare avanti provvedimenti senza che si alzassero voci di dissenso da parte dei partiti che compongono la maggioranza. Il clima della campagna elettorale già si sentiva. L’avvicinamento alla scadenza naturale della legislatura è stato anche il motivo per cui i partiti, dovendo recuperare consensi, non hanno fatto marcia indietro ma anzi hanno esacerbato i toni.
Il fattore scatenante della crisi, che il segretario del PD Enrico Letta ha paragonato allo sparo di Sarajevo che innescò la Prima Guerra Mondiale, è la presenza all’interno del Decreto Aiuti di una norma che permette la costruzione di un termovalorizzatore a Roma. La battaglia dei 5 Stelle contro il termovalorizzatore va avanti da anni e accettarla avrebbe significato perdere la faccia. Le insofferenze di Giuseppe Conte verso Mario Draghi vanno però ben oltre questa singola norma, tanto che il Movimento stesso, provato dalla fuoriuscita di Luigi Di Maio e altri parlamentari, aveva già iniziato a sgretolarsi e dividersi tra i sostenitori della maggioranza di governo da una parte e chi invece avrebbe voluto tornare all’opposizione.
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Ai malumori dei 5 Stelle si sono aggiunti poi quelli del centrodestra il giorno del discorso di Draghi durante la parlamentarizzazione della crisi. Le parole del primo ministro sono state particolarmente dure, più che verso il Movimento 5 Stelle, soprattutto verso la Lega di Matteo Salvini che aveva rallentato di molto i ritmi del governo, specialmente sulla riforma del catasto e sulle leggi sulla concorrenza.
Il punto di non ritorno
È dopo il discorso di Draghi che la bolla è esplosa, con la fuoriuscita al momento del voto di Lega e Forza Italia, oltre all’astensione del Movimento 5 Stelle. Il governo ha ottenuto comunque la maggioranza, ma lo schema di unità nazionale è di fatto scomparso e, sebbene formalmente non sia stato sfiduciato, Draghi ha comunicato le sue dimissioni al Presidente della Repubblica. Mattarella ha così preso atto dell’avvenuto e ha sciolto le Camera. In seguito, il Consiglio dei ministri ha fissato la data delle prossime elezioni: il 25 settembre.
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Non era mai accaduto che in Italia la campagna elettorale iniziasse con certi ritmi e nel periodo estivo. Dopo anni di richiami al voto da parte dei partiti, il momento è arrivato ed è più vicino di quanto sembri. Nelle prossime settimane le forze politiche saranno impegnate a creare coalizioni, da studiare i sondaggi e a calcolare le percentuali di voti, a elaborare dei programmi elettorali in grado di convincere gli elettori a prendere una decisione.
Coalizioni e sondaggi
Per quanto riguarda le coalizioni, attualmente la più concreta è quella del centrodestra. Nonostante Forza Italia e Lega sostenessero il governo Draghi e Fratelli d’Italia fosse l’unico partito di opposizione, dopo la caduta del governo Draghi, con l’avvicinarsi delle elezioni i tre partiti si sono riuniti e hanno quasi raggiunto la quadra.
Il problema più grande da risolvere riguarda la decisione su chi, in caso di vittoria, andrebbe a ricoprire la carica di Premier. Nei patti del centrodestra la regola più nota è che il partito che prende più voti è anche quello che decide la premiership. Questa decisione, favorevole a Lega e Forza Italia quando i sondaggi li davano rispettivamente favorevoli, si era incrinata dato il vantaggio che i sondaggi danno ora a Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, con il suo partito di opposizione, nei sondaggi viene data tra il 22% e il 25% di consensi, mentre gli altri partiti di centrodestra avrebbero percentuali di gran lunga inferiori. Per questo motivo il centrodestra non può presindere da Fratelli d’Italia, che però pretende la guida del governo in caso di vittoria.
La sicurezza del centrodestra sull’esito del voto sembra piuttosto forte, tanto che in questi giorni si continua a parlare delle cariche che anche gli altri due leader di partito andrebbero a ricoprire. Per Silvio Berlusconi le voci che si sentono sono quelle che gli affiderebbero la carica di Presidente del Senato, seconda carica dello Stato, segnando così un suo ritorno in Parlamento. Per Matteo Salvini l’incarico sarebbe invece quello di Ministro dell’Interno, che gli permetterebbe di gestire i punti programmatici su cui ha sempre usato toni forti nella sua linea politica.
La sicurezza del centrodestra dovrà comunque fare i conti con la realtà delle elezioni, in cui sono in gioco anche altri partiti. L’attuale legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum”, è un sistema misto maggioritario-proporizionale, che rende indispensabili le coalizioni. Il Partito Democratico è in una fase difficile in tema di alleanze. Dopo la caduta del governo Draghi, con i 5 Stelle sembra che non ci sia possibilità di riavvicinamento e i dem guardano tanto ai partiti minori della sinistra quanto ai sommovimenti in corso nel centro.
Il 25 settembre
Il voto ravvicinato del 25 settembre serve per tentare di fare approvare al futuro Parlamento la legge di bilancio nei tempi prestabiliti. La legge di bilancio è fondamentale per non finire nel giogo dell’esercizio provvisorio.
Oltre allo strano periodo di campagna elettorale estivo, in cui solitamente il clima nazionale non sembra voler pensare alla politica, resta un altro grandissimo problema su cui il Parlamento non è riuscito a legiferare: il voto a distanza e il voto dei fuori sede. Questa sarebbe una misura importante per cercare di combattere l’astensionismo all’interno del Paese. I dati sull’affluenza indicano che il numero degli elettori è piuttosto basso, ma non si considera che in molti sono privati della possibilità di recarsi a votare ed esercitare il proprio diritto e il proprio dovere. Anche durante questa legislatura si è rimasti immobili su questo fronte estremamente importante, e si arriverà alle elezioni impreparati circa l’inclusività di gran parte dei cittadini.
Nell’attesa del 25 settembre, il governo comunque non si ferma. Mario Draghi resterà in carica per i cosiddetti affari correnti fino a quando non si sarà delineato il nuovo governo e Primo Ministro che prenderà il suo posto. Le questioni da risolvere sono tante e molto rilevanti. Oggi, più che in altri tempi, il governo provvisorio mantiene ancora un margine di manovra piuttosto importante.
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