Sono passati esattamente settantacinque anni da quando sui grandi schermi comparve il primo film sonoro di Charlie Chaplin, nonché una delle sue opere più riuscite: Il grande dittatore (1940). Capolavoro indiscusso del cinema americano, venne proibito in tutta Europa fino alla caduta del regime nazista; nonostante questo, fu candidato nel 1941 a ben cinque premi Oscar e ancora oggi è apprezzato per la sua satira leggera e la straordinaria comicità.
Avere a che fare con un gigante come Charlie Chaplin in una delle sue interpretazioni migliori non è certo facile, ma Massimo Venturiello e Tosca, con la regia di Giuseppe Marini, ci hanno provato e hanno portato Il grande dittatore sul palcoscenico del Teatro Carcano di Milano. Si tratta, peraltro, di una prima volta: a lungo si è tentato di creare un riadattamento teatrale di questo capolavoro, ma gli eredi di Charlie Chaplin non hanno mai voluto concederne i diritti. Questa volta, però, è andata diversamente e la compagnia teatrale ha avuto l’opportunità di rendere omaggio al grande regista e attore americano attraverso una commedia musicale.
La trama si è, naturalmente, mantenuta fedele a quella del film. Protagonisti sono un barbiere ebreo che, perduta la memoria alla fine della Grande Guerra, fa ritorno a casa nel 1940 e trova un mondo completamente diverso da quello che ha lasciato, e l’esagitato dittatore di Tomania Adenoid Hynkel, chiara parodia di Adolf Hitler. Mentre Hynkel porta avanti il suo progetto per diventare dittatore del mondo, iniziando con l’invasione dell’Ostria e l’alleanza con il dittatore Napoloni (alter ego di Mussolini), il barbiere ebreo deve confrontarsi con le nuove condizioni di vita del ghetto ebraico dove, nonostante le persecuzioni e le difficoltà, conosce l’amore grazie ad Hannah. Alla fine, le strade dei due personaggi si incontrano e, a causa della marcata somiglianza con il dittatore, il barbiere si ritroverà a tenere un discorso in cui, anziché incoraggiare le truppe a invadere l’Ostria ed esaltare la razza ariana, trasmetterà a tutto il mondo un messaggio di speranza e libertà.
«Ciò che inventeremo e abiteremo sarà un’altra cosa dal film», afferma Venturiello. E questo è senz’altro vero, soprattutto per un fatto che distanzia innegabilmente il film dal suo riadattamento: quando Chaplin interpretò Il grande dittatore la Guerra era ancora ai suoi inizi e nessuno immaginava ancora fin dove sarebbe arrivata la persecuzione degli ebrei. Si dice che lo stesso Chaplin, con il senno di poi, si rimproverò per non aver saputo cogliere la gravità della situazione e per aver ironizzato troppo su quella che si sarebbe poi rivelata una delle pagine più tristi della storia europea. Ma, con l’ingenuità di chi non aveva ancora vissuto appieno la guerra e i suoi orrori, Chaplin poteva permettersi di dipingere Hitler come una sorta di macchietta e di concedersi ottimisticamente la speranza che tutto si sarebbe concluso presto.
A chi vive oggi, questa speranza non è concessa perché sa fin troppo bene come andarono le cose. È questa la maggiore differenza fra l’adattamento musicale di Venturiello e Tosca e il film degli anni ’40: pur mantenendo la grande ironia che caratterizza Chaplin, c’è anche molto spazio per la disperazione e la disillusione. A incarnare questi sentimenti è Hannah, interpretata da una bravissima Tosca, che nei suoi monologhi e assoli dà voce ora alla nostalgia per la terra di Israele, ora all’attaccamento verso la sua patria, ora alla rabbia e alla frustrazione, ora alla speranza di un mondo migliore. Se un difetto si vuole trovare, si può dire che forse è stato dato fin troppo spazio a questo personaggio, tanto che quasi risulta essere Hannah la protagonista dell’opera e non il barbiere/dittatore; se questo sia un effetto ricercato o dovuto soltanto alla convincente interpretazione di Tosca, non sappiamo dirlo.
Dal canto suo, Massimo Venturiello rende magistralmente onore a Charlie Chaplin, riuscendo a destreggiarsi molto bene tra il timido barbiere ebreo e il grottesco dittatore Hynkel. Molto azzeccata l’idea di modificare la lingua (volutamente) incomprensibile del film in una sorta di “tedesco italianizzato“, in cui si riesce a cogliere il senso generale del discorso e l’effetto ironico è ancora più accentuato. In generale, molte scene peculiari del film, come il parallelo tra le frenetiche attività del dittatore e del barbiere, sono state mantenute, pur con qualche riadattamento; manca, invece, la celeberrima scena di Hynkel e il mappamondo, ma se il prezzo era scadere nella banalità il sacrificio è giustificabile. Forse non sarebbe stato inopportuno tagliare ancora qualche particolare del film, come il focus sulla vita di Hannah in Ostria, che a teatro è risultato un po’ stucchevole.
Oltre che ai due protagonisti, gran parte del merito per la riuscita di questo spettacolo va alle musiche originali di Germano Mazzocchetti, che fondono i ritmi dello klezmer con quelli più forti della musica militare tedesca. Un apprezzamento va, inoltre, alla scenografia: la semplice costruzione rotante al centro del palcoscenico riesce a rappresentare perfettamente le case e le botteghe del ghetto ebraico da un lato e il palazzo di Hynkel dall’altro, fino a culminare nella riproduzione di una gigantesca svastica nella seconda parte dell’opera. Una compagnia affiatata di artisti completa il quadro di uno spettacolo musicale che gli amanti di Chaplin non dovrebbero perdersi.
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