New York anni Cinquanta. In una giornata di neve qualcuno, uscendo di casa, decise di ripararsi con un ombrello rosso. Scese per strada, magari di fretta, per raggiungere il suo posto di lavoro. Non c’era tempo per aspettare che il semaforo diventasse verde. E così, con il semaforo rosso e sotto il suo ombrello rosso, quel qualcuno passò affianco a un taxi giallo facendosi strada tra il traffico intasato.
Quel qualcuno, quel giorno, non si era accorto di finire catturato sotto il suo ombrello rosso in uno scatto ancora esposto sessant’anni dopo alla The Photographers Gallery di Londra. Quel qualcuno probabilmente non saprebbe riconoscere che sotto quell’ombrello in quella foto c’è proprio lui. Perché in quel momento qualsiasi di quel giorno qualsiasi non sapeva che stava passando con il suo ombrello rosso affianco al taxi di Saul Leiter. E non sapeva neppure che non c’erano oggetti e colori che Leiter amasse di più degli ombrelli rossi sotto la neve bianca.
Saul Leiter era un ragazzo nato a Pittsburgh negli anni Venti, che ricevette dalla madre la prima macchina fotografica all’età di dodici anni. A ventitré, decise di trasferirsi a New York per diventare un artista, nello specifico un pittore. Ironia della sorte, sarà decisamente più famoso per la sua fotografia che per la sua pittura. Ma si guadagnerà il titolo di artista proprio per l’influenza che la sua pittura avrà sulla sua fotografia. La mostra londinese su Leiter suggerisce chiaramente che il suo amore, ancora prima che per la fotografia, era andato a colori e pittura. Interi sketchbooks riempiti di quadratini di colori diversi, fotografie ritoccate con il pennello. Forte del suo bagaglio di riferimenti, riconosciuti nella fotografia di Henri Cartier Bresson, nei colori di Mark Rothko e nelle geometrie di Franz Kline, Leiter mise tutto quanto insieme nella sua arte.
Tenne la fotografia, aggiunse i colori, creò cornici con i soggetti stessi dei suoi scatti. E diventò così pioniere di un nuovo modo di fare fotografia, dato che i suoi contemporanei non apprezzavano ancora i colori nelle foto.
È impossibile dire quali siano i soggetti di un singolo scatto. Impossibile dire se sono i movimenti veloci delle persone che vivono la città, la luminosità dei gialli e dei rossi in contrasto con gli altri colori tenui, o i riflessi e le sovrapposizioni. Forse la neve e la pioggia, o il sapore stesso di New York.
Magari, semplicemente, tutto insieme.
Camminando di fronte alle sue foto si può provare a entrare nei suoi occhi graziati e ci si rende rendo conto dei fili conduttori della sua ispirazione. Ci si immagina quel ragazzo che girava per le strade di New York sotto la pioggia con i suoi rullini scaduti, perché economici e tutto sommato dal risultato interessante. Lo immaginiamo prendere il taxi in attesa della sovrapposizione di tutto quello che amava in uno scatto. Lo immaginiamo scattare proprio nel momento giusto, per catturare una mano che sbuca dal finestrino di un taxi e che lascia nel mistero le intenzioni del suo gesto: starà dando indicazioni? Pagando? Semplicemente gesticolando mentre parla con il tassista? Lo immaginiamo a interrogarsi sulla storia di quella donna che, ovviamente sotto il suo ombrello rosso, cammina veloce affianco a graffiti ricavati dai segni delle dita sulla neve che dicono «Rock body rock».
Lo immaginiamo vagabondare per tutto il giorno in lungo e in largo, guardando e aspettando con pazienza. Proprio lui disse «se guardiamo e guardiamo, iniziamo a vedere; eppure, siamo ancora lasciati con il piacere dell’incertezza». Saul Leiter guardava, e poi raccontava storie. Storie urbane che raccontavano le persone, la città, il traffico, sotto la pioggia e la neve. E come gli scrittori raccontano con metafore e rime, lui usava i colori, i riflessi e le geometrie. Ma le sue storie non erano mai certe, perché raccontavano una frazione di secondo di cui chiunque può fantasticare il passato e il futuro.
Esco dalla Gallery e mi sento orgogliosa del mio zaino dai colori stravaganti. Passeggiando scatto foto e ringrazio una signora bionda che, divertita, accetta di farsi fotografare da me con il suo cappotto rosso. Se quelle persone non avessero deciso di comprare ombrelli felici per ripararsi dalla pioggia, Saul Leiter forse non avrebbe potuto usare i suoi occhi per realizzare il suo sogno: quello di diventare un artista.
Silvia Lazzaris
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