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Saudade e appocundria in musica e l’intraducibilità di alcune parole

Laddove non arrivano le definizioni, può arrivare la musica. È il caso della saudade di Cesaria Evora o dell'appocundria di Pino Daniele: termini intraducibili che esprimono sentimenti potenti

5 minuti di lettura

Da quando ne abbiamo memoria, le definizioni sono state, per un parlante, degli strumenti grazie ai quali è stato possibile dare una forma al mondo: bolle linguistiche in cui racchiudere per sempre una piccola porzione di universo. Dagli oggetti più concreti e pratici, ai concetti più nebulosi e astratti, certezze di un mondo caotico e mutevole, è grazie ad esse se, ogni giorno, possiamo esprimerci su quel fatto o quella questione, azzeccando di volta in volta la parola che più si confà ai nostri scopi. Eppure, anche quando siamo riusciti a trovare un termine per esprimere il più remoto e astruso dei concetti, spesso la sua definizione stenta ad attuare efficacemente il proprio compito: spiegarsi. Sappiamo bene come, di fronte a un sentimento, non sempre si è in grado di esprimere a pieno quanto si muove tra le pieghe del proprio intestino e le curve della propria mente. Le parole ci appaiono non più come delle possibilità, ma come dei limiti: esse, da sempre nostre alleate, ci sfuggono, e le definizioni cadono.

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Parole senza traduzione: saudade e appocundria

Uno di questi casi comprende due termini, che sono l’uno la trasposizione oltreoceano dell’altro: saudade e appocundria. Non è un caso che due lingue e culture come quella portoghese e quella napoletana, distantissime in termini geografici, ma profondamente legate l’una all’altra nell’esternazione verace e poetica del sentimento, siano connesse in questa peculiare situazione. Con esse è stato possibile dare un nome ad un particolare stato d’animo, ma non è stato possibile spiegarlo nel profondo. Con saudade o appocundria siamo di fronte, infatti, a parole mancanti di definizione. Lo stato a cui si riferiscono è inesprimibile a parole, incomprensibile se non si prova e, dunque, intraducibile. Sono “parole-concetto”, accostate ad un sentimento che può ricondursi alla solitudine e alla nostalgia, ma che è troppo profondo per poter essere rinchiuso all’interno di una formula. È un sentire che si riferisce alla mancanza, ma ha una collocazione indefinita nel tempo: può riferirsi sia ad una cosa perduta, sia al pensiero di un qualcosa non ancora ottenuto e di cui si teme la perdita nel futuro. In poche parole, la si può solo provare, ma, quando arriva, è facile riconoscerla.

Dare forma a un sentimento

Dunque, di cosa ce ne facciamo, nel nostro mondo di certezze e razionalità, di una parola che non ha una definizione precisa? Da che verso dobbiamo prenderla, come dobbiamo parlarci? Quello che fanno parole come saudade o appocundria è parlarci dall’interno. Non si spiegano, perché non ne trovano il bisogno: sono parole fatte di gesti, effettivi o mancati, di atmosfere. Non si spiegano, perché neanche chi le prova sa bene come farlo. A risolvere questo arcano è stato chi con le parole ha un rapporto tutto particolare, come poeti, scrittori e cantanti. Artisti come Cesaria Evora e Pino Daniele, ad esempio, sono stati magici interpreti di questo termine indefinibile. La loro voce, così dolce e malinconica, ha dato una forma a questo sentimento senza traduzione. Entrambi ne hanno raccontato le sfaccettature e la difficoltà. Per molti, infatti, questi termini identificano in realtà la condizione del depresso che, più di ogni altro caso, ha sfumature differenti da persona a persona, da Paese a Paese.

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La saudade di Cesaria Evora

Cesaria Evora è forse la migliore rappresentante del canto nostalgico della saudade, che nel suo creolo diventa sodade. In questo caso, la mancanza è quella per le proprie radici, strappate dalla sete del conquistatore. Lei venne al mondo già identificata da precise coordinate e caratteristiche: donna ed africana, originaria di una terra coloniale, Capo Verde, una terra sottomessa, povera. Il suo genere fu la morna, tipico capoverdiano. Esso è caratterizzato da un suono morbido, spesso assimilato all’abbraccio che culla un neonato ed accostato ad un certo movimento dell’anima, ad un richiamo dall’interno che si muove e ondeggia tra le note del canto, della fisarmonica, del piano e del violão (chitarra). La morna è una sorta di dialogo, addolorato e intenso, che può diventare anche molto vivace e che l’interprete realizza non solo con la parte più intima di sé, ma anche con la propria terra e il tempo storico che l’ha cambiata. Viene considerata, non a caso, la musica nazionale di Capo Verde, terra mutata dall’influenza coloniale. Nel brano Sodade canta la nostalgia per la sua terra, São Nicolau, in creolo, lingua meticcia, nata dallo scambio comunicativo tra i nativi dell’isola e i coloni.

È in Petit pays, però, che si sente forte la ferita per un paese perduto e l’accettazione nostalgica del vuoto che questo ha creato dentro di sé:

Terra pobre chei di amor
Tem morna tem coladera
Terra pobre chei di amor
Tem batuco tem funaná
Oi tonte sodade sodade sodade
Oi tonte sodade sodade sem fim
Petit pays je t'aime beaucoup

(Terra povera piena di amore / le tue canzoni di Morna e Coladera / terra saggia, piena di amore / la tua musica Batuco e Funanà / Oh, quanta nostalgia, nostalgia, nostalgia / Oh quanta nostalgia, nostalgia senza fine / Piccolo paese, io ti amo tanto)

L’appocundria napoletana

Dall’altro lato, Pino Daniele canta la sua appocundria e ne esce un sentimento di noia, di insoddisfazione e di inazione di fronte a un tempo che rischia di intrappolarti. In questa condizione, però, si nasconde quel forte attaccamento alla vita, che Daniele meglio di chiunque altro è riuscito a sprigionare attraverso il suono della sua musica. Nella sua canzone Appocundria (in quel gioiello di blues partenopeo che è Nero a metà), canta di come tutti possano sperimentare questa condizione. «Appocundria ‘e nisciuno» ripete due volte, dove, se è di nessuno, allora è di tutti.

In italiano non abbiamo un termine che riesca a rendere tale stato come riesce a farlo un dialetto. Nel gennaio del 2015 infatti l’enciclopedia Treccani ha voluto inserire tra le sue voci proprio l’appocundria cantata da Pino Daniele. Il bluesman napoletano ha da sempre rivendicato la potenza del proprio dialetto nell’esprimere un vissuto che altrimenti non sarebbe stato recepito allo stesso modo. La Treccani, nella sua scelta, ha pertanto sottolineato tale aspetto in un articolo di Silverio Novelli del 15 gennaio 2015, sul lessico utilizzato da Pino Daniele nelle sue canzoni. Novelli scrive: «(Pino Daniele) ci ha restituito, sovrimpresse di venature che in lingua sarebbero state opache, parole che, pur non essendo nuove, nuove suonavano all’orecchio, per via di una potenza evocatrice che soltanto il dialetto era in grado di sprigionare». Il termine ha poi avuto una vita propria e ogni volta torna ad avere diverse accezioni. Anche artisti contemporanei come Liberato rivendicano la forza del dialetto, come modo per esprimere sfumature di vita reale e per riqualificare la pienezza delle proprie radici. In Gaiola portafortuna il cantante incappucciato nomina l’appocundria, associandola ad una sorta di paranoia, di malinconia che sopraggiunge.

L’intraducibilità dell’essere umano

Dove le parole non arrivano, la musica, o meglio, la musicalità viene loro in soccorso. È come se essa arrivasse ad uno stadio ulteriore dell’inesprimibile. Quante volte ci capita di dire di non saper spiegare con le parole un concetto e ritrovarlo magari, sotto forme diverse, all’interno di una certa combinazione di suoni di una canzone. Termini come saudade e appocundria, tacciati di essere intraducibili, una volta inseriti nella musicalità del ritmo e dei versi, diventano subito chiari in chi li ascolta. La definizione, ormai, non serve più. È una comprensione differente, quasi un’intuizione. L’intraducibilità di queste parole diventa come uno specchio e ribalta infatti la situazione: ci pone davanti a noi stessi e alla complessità intrinseca dell’essere umano.

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Margherita Coletta

Classe 1998. Laureata in Letteratura Musica e Spettacolo, con una tesi in critica letteraria. Attualmente studia Editoria e Giornalismo a Roma. Le piace girovagare e fare incontri lungo la via. Appassionata cacciatrice di storie, raccontagliene una e sarà felice.

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