E poi saremo salvi, edito da Mondadori nel 2021, è il primo romanzo di Alessandra Carati, che con uno stile carico di emozioni ci trascina nell’esodo della disperazione dei cittadini bosniaci negli anni ‘90. Famiglie separate, lingue diverse, terreni nuovi nei quali affondare la propria esistenza. In questo libro troviamo la costante sensazione della vita altrove, del sentirsi ovunque stranieri, abitanti di una terra di tutti e di nessuno.
La trama de «E poi saremo salvi» di Alessandra Carati
Aida ha sei anni quando, mano nella mano con la mamma incinta, lascia il suo villaggio nel cuore della Bosnia per oltrepassare il confine e raggiungere il padre a Milano. Qui comincia una nuova vita, in cui la guerra viene vista da lontano, dalle immagini in televisione e dalle informazioni che arrivano in Italia da parte dei parenti. O meglio, solo da alcuni, perché tanti altri sono dispersi. La tristezza è un veleno che la madre di Aida accumula nel corpo, rinchiudendosi in un bozzolo di sofferenza. Aida si butta a capofitto nella scuola, perché sa che deve dare il doppio rispetto agli altri bambini se vuole emergere. Per lei i pomeriggi a casa di Emilia e Franco – i due volontari che aiutano la sua famiglia dal primo giorno a Milano – sono ossigeno puro. Gli anni passano e Aida vive un’adolescenza occidentale, non accettata dalla famiglia diventata improvvisamente religiosa. Sembra infatti che i suoi genitori si siano rifugiati nella religione, la quale avevano sempre rifiutato in Bosnia, dove veneravano Tito.
Babo si aspettava che andassi a scuola nel centro di Milano e mi comportassi come se fossimo al villaggio. Pensava volessi rifiutare le nostre origini, marcare una distanza tra me e loro. Io invece volevo solo sentirmi parte di qualcosa.
Il desiderio di Aida di sentirsi inserita e amata la porta a trasferirsi da Emilia. Si apre così una frattura con i suoi genitori, che verrà ricucita dalla malattia mentale del fratello. Quel bambino vivace e irrequieto, che solo la sorella era capace di calmare, si trasforma in un ragazzo problematico.
La protagonista diventa così una donna e una dottoressa, fa tutto il possibile per prendersi cura del fratello. Perennemente in preda agli eccessi, Ibro non conosce mezze misure: ride forte o piange raggomitolato nel suo letto, grida o sta in silenzio, abbraccia o si scaglia contro i genitori. Aida corre sempre da lui, che sia giorno o notte non esita a metterlo in cima alla lista delle sue priorità. In E poi saremo salvi, Alessandra Carati dipinge nero su bianco la malattia mentale con delicatezza ed incredibile veridicità, mostrando l’eterna dimensione di solitudine che comporta. Per quanto Ibro sia inserito in una famiglia e in una comunità, nessuno può fare nulla per aiutarlo. Nemmeno Aida, che può solo sfiorare la sua irraggiungibilità e amarlo senza poterlo salvare.
La vita altrove
Scorrendo le pagine di E poi saremo salvi, avvertiamo un senso familiare di estraneità ai luoghi, alle situazioni, alle persone. Riviviamo sulla nostra pelle le difficoltà della crescita, raddoppiate se si deve fiorire da soli, senza nessuno che si preoccupi della quantità di acqua e sole necessaria per sbocciare. Guerre interiori si intrecciano al conflitto che si consumò nella ex Jugoslavia degli anni ‘90, vissuto per lo più a distanza da Aida e dalla sua famiglia. L’effetto collaterale della sopravvivenza è il senso di colpa, il sentirsi responsabili di una guerra semplicemente perché non si è fatto nulla per fermarla.
Saremmo rimasti al di qua del confine con il nostro destino di spettatori della catastrofe. L’orrore immaginato avrebbe scavato una trincea intorno a ciascuno di noi
Sarebbero ritornati al villaggio, di tanto in tanto, Aida e la sua famiglia. Qualcuno sarebbe rimasto per sempre, altri sarebbero stati solo di passaggio in quel territorio che una volta avevano chiamato casa.
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