Alexandre Joyeux Paganini, in arte Sandro Joyeux, nasce a Parigi nel 1978, da mamma francese e papà italiano. La sua vita è così cinematografica e ricca di accadimenti, che, se non ci fosse l’anagrafe a smentirci, potrebbe aver vissuto cento anni. Fin da piccolissimo gira da solo per gli arrondissement di Parigi fino a notte fonda e conosce a memoria la mappa della Metro, le strane creature che popolano la città e tutte le biblioteche dove si può ascoltare musica gratis.
Affascinato dalla vita di strada, lascia gli studi e parte alla volta di Firenze con la chitarra e l’unico obiettivo di incontrare suo padre per la prima volta. Nel capoluogo toscano lavora come manovale o pony express e impara l’italiano, senza perdere la proverbiale inflessione francese. Diviso tra l’Italia e la Francia Sandro Joyeux è sempre in viaggio, su e giù da Firenze a Parigi in autostop, in vespa o nascosto nei treni. Nel 1998 entra nei King’s Roots, band Reggae con cui suona nei locali di Parigi, ma è quello che oggi potrebbe sembrarci un viaggio “al contrario”, dall’Europa all’Africa, dove il ritmo e la vita ebbero inizio, a cambiare il suo destino per sempre; nel 2005 parte per il Mali, dove impara lo stile Mandingue, suona alle feste locali, apprende i dialetti Bambara, Wolof, Malinke e conosce il suo idolo di una vita, Boubacar Traore.
Musica per i migranti
Dopo l’Africa, oltre 1500 concerti nel mondo e svariate collaborazioni illustri, nell’ottobre del 2012 Joyeux termina la lavorazione del suo primo disco, registrato tra Napoli (altra città italiana con cui Sandro ha un forte legame), Lille e Roma. Suona anche nelle carceri, nei centri d’accoglienza per migranti, negli ospedali psichiatrici. Nel 2011 dà vita a Antischiavitour, la speciale tournée ideata per i lavoratori africani dei campi, che taglia la penisola, dal Piemonte alla Puglia, fino al luogo tristemente simbolo della rivolta dei lavoratori sfruttati, Rosarno; Antischiavitour è il suo grido contro lo sfruttamento e carezza malinconica: per qualche ora strimpella e i braccianti possono chiudere gli occhi e ascoltare il suono delle loro terre lontane riecheggiare nelle tendopoli. Come un menestrello moderno, Sandro Joyeux ha raccolto e custodito, tappa dopo tappa, le storie di chi vive ai margini, dandogli voce nei singoli che compongono il suo secondo lavoro: da Ce n’est pas ça, che racconta di come sia impossibile fermare chi cerca una vita migliore (“chi è pronto a morire attraversando il Mediterraneo non lo fermi con i muri né con il filo spinato”) a Elmando, brano che ha ricevuto il patrocinio dell’Unhcr e che parla di un bambino soldato, fino a Kingston, il cui video è stato realizzato insieme ai ragazzi della scuola Pisacane di Roma, divenuta famosa per l’alto numero di studenti stranieri che la frequentano.
Quando abbiamo proposto a Sandro Joyeux una chiacchierata sui suoi ultimi progetti musicali, viaggi, diritti e su quanto sta accadendo nel Mondo, è stato un vero fiume in piena.
Ciao Sandro! Alla luce del tuo impegno “civile”, che corre parallelo a quello artistico e musicale, ti sei fatto un’idea di come si sia attuato questo circuito di odio, legittimato anche dalla politica?
Ciao! Credo che per capire la situazione con uno sguardo “macro” occorra un minimo di cultura storica e politica, cosa che richiede uno sforzo e una ricerca. L’Occidente si è sviluppato sfruttando le terre altrui e corrompendo i vertici di queste nazioni per 400 anni. Poi durante le guerre mondiali furono di grande aiuto le truppe “indigene”, continuò lo sfruttamento delle materie prime e delle popolazioni anche dopo i processi di decolonizzazione che si rivelano gigantesche truffe ai danni di queste nazioni. Ai fatti economici si aggiunge anche un allarme ecologico, il deserto avanza le foreste scompaiono. Bisogna sempre ricordarsi che più della metà della popolazione mondiale vive in una natura ostile. Ma chi non viaggia non lo può sapere, sono cose che si vivono sulla propria pelle. Accogliamo male, come lo fece la Francia negli ultimi 50 anni, ghettoizzando popolazioni intere, senza servizi pubblici, senza diritti. Accogliere male crea risentimento, spirale infernale di odio è vendetta, una frattura inguaribile che ha portato alle sommosse del 2005 nelle banlieues. Accogliere meglio è l unica vera strada a lungo termine ma manca la volontà politica e le risorse (quelle economiche , quelle umane ci sono)
Quale pensi possa essere il ruolo degli artisti, dei musicisti, di chi insomma ha la fortuna di poter veicolare un messaggio?
Prima di tutto l’artista e anche un cittadino con il diritto di dire la sua attraverso una scheda elettorale. Per quello che riguarda l arte, il nostro ruolo è proporre dei viaggi e promuovere la libertà di vivere i propri sogni. Musica e politica sono legate da tempo. Nell’ 800 i borghesi pagavano gli artisti che li decidevano. Ma certe volte è pericoloso schierarsi con i politici, molti cantanti sono stati assassinati per il loro impegno.
Col tuo #WithRefugees tour hai suonato per i migranti la musica delle loro terre lontane, nei luoghi simbolo del caporalato. Sei stato anche a Rosarno, luogo tornato tristemente in auge in seguito alla morte di Sacko Soumayla. C’è qualche ricordo di quest’esperienza a cui sei particolarmente legato?
In assoluto molta gioia, spensieratezza durante il concerto. Vere esplosioni di gioia, per un istante si dimenticano questo crudele quotidiano. Mi ricordo di questo ragazzo minorenne che non parlava da mesi, quando provavo ad avvicinarmi con la chitarra si metteva a piangere. Sembrava inconsolabile.
Hai un rapporto particolare con una città italiana, Napoli. Come spieghi questo legame?
Mi piacciono le città mondo, mi piacciono i calderoni bollenti di cultura e di culture. Mi piacciono i porti aperti.
Quali sono i tuoi prossimi progetti musicali?
Sto lavorando al terzo disco e cerco, parallelamente, di montare una band di migranti per un progetto che realizziamo nel quartiere di Ballarò a Palermo. Coinvolgeremo bravissimi cantanti africani, di cui alcuni minorenni molto talentuosi.