Tra le solite polemiche e scherni, si è conclusa poco più di una settimana fa la sessantaquattresima edizione del festival di Sanremo, per eccellenza il festival della musica italiana. Un evento nazionale che incollava gli spettatori ai televisori e alle radio fino a qualche decennio fa. Artisti e cantanti di ogni genere attendevano con trepidazione che arrivasse anche per loro l’opportunità di cantare sul palco dell’Ariston, in diretta nazionale, così che la loro musica avesse la possibilità di avere successo tra la gente d’ogni angolo d’Italia. Ma oggi, un qualsiasi giovane con la cuffia dell’IPod all’orecchio e un occhio al telefono:
“Che ne pensi del festival di Sanremo?”
“Che noia, che musica da schifo. Sono sempre le solite canzonette.”
Cos’è accaduto?
In un’intervista di qualche anno fa, durante una di quelle puntate di talk show che inseriscono nel periodo del festival, hanno invitato cantanti di vecchia data a dare la loro impressione a riguardo.
«Nei primi anni del festival, l’evento era visto con grande importanza: gli artisti iniziavano a scrivere canzoni in primavera o in estate, se non con un anno di anticipo, per arrivare a Febbraio con un lavoro preparato bene e ricco di personalità. Ora, invece, i cantanti arrivano a fine estate con niente in mano e, bramando di salire sul palco dell’Ariston, si accordano con qualche autore perché possa scrivere una canzone per loro. Ma dov’è che nasce una canzone? Si sale su un palco per cantare e dimostrare la bravura o per comunicare qualcosa di importante e personale?»
Chi vinceva il festival, nei suoi primi decenni di vita, poteva trarre da quella vittoria un grande successo, che poteva essere usato come trampolino di lancio o semplicemente come corona d’alloro di una carriera ed essere poi ricordato negli anni. Tralasciando il gusto musicale, chi si ricorda almeno tre o quattro artisti che hanno vinto il festival negli ultimi dieci anni? Si sentono, per radio o tra i classici, quelle canzoni che hanno avuto l’onore di vincere il premio più ambito della musica italiana?
Parlando con chiunque riguardo l’ultimo festival che si è appena concluso, si dirà che il livello delle canzoni si è notevolmente abbassato: testi banali, melodie già sentite, niente di veramente innovativo né di efficace (rare eccezioni a parte, ovviamente). Ma allora, dov’è la musica che dovrebbe essere promossa da un evento di questa importanza?
Molti sostengono che dividere la canzone tra chi l’ha scritta e chi la canta sia una cosa normale al giorno d’oggi. Niente da togliere a certi cantanti che in quanto bravura e interpretazione hanno solo da insegnare, ma bisognerebbe a qualunque artista compositore quale canzone gli venga più naturale cantare con emozione, se il prodotto delle proprie sensazioni o una bella composizione scritta da altri. È tanto più umano quanto normale essere più affini a se stessi che ad altri, più legati ad un proprio pensiero ed avere voglia di esprimerlo al mondo che essere portavoce di pensieri, che per quanto possano essere condivisi, sono altrui. Anche nelle più banali canzoni d’amore.
Il livello di ciò che viene esposto credo sia calato proprio per questo. L’industria discografica preferisce di gran lunga un cantante già affermato che arriva al festival con un pezzo non proprio suo piuttosto che un giovane speranzoso che ha voglia di mostrarsi ad un pubblico per crescere artisticamente, per un semplice motivo di share e di popolarità. Tra gli ultimi vincitori che si possono definire tali, posso ricordare una Elisa agli esordi nel 2001, un Marco Masini del 2004 o un Francesco Renga del 2005 con “Angelo”. Tutti grandi successi che se venissero riproposti li ascoltereste con piacere e li sentireste vostri da sempre; sono canzoni d’autore che possono rimanere tra quelle composizioni da ricordare con piacere. Ma tra vent’anni, ricordereste con piacere una Emma con “Non è l’inferno” o un Marco Carta con “La forza mia”? Ma soprattutto, ve la ricordereste?
Non credo che la colpa sia da dare al festival di Sanremo, che per quanto impegno ci possa mettere per riuscire come evento di successo, è sempre soggetto alle direzioni del mercato musicale e agli stili di vita che le case discografiche hanno assunto da qualche anno a questa parte. Non è giusto dire che in Italia non abbiamo più artisti musicali degni di tale appellativo, perché possiamo sentire ancora con piacere nomi dal calibro di Gazzé, Fabi, De Gregori, Cremonini; cantanti che partecipano al festival di rado o che non hanno mai partecipato. Se possiamo notare, negli ultimi anni cantano all’Ariston più cantanti televisivi usciti da qualche talent che i veri cantautori italiani.
«Ma se i grandi big non hanno canzoni da cantare, con cosa possiamo riempire il festival? Per forza dobbiamo richiamare qualche ragazzo uscito da X-Factor o Amici e appioppargli qualche canzone da cantare per riempire la lista»
Signori scout musicali, avvicinatevi più ai locali che sempre meno fanno suonare, e ascoltate quanti signori artisti fanno la propria arte ogni sera vicino al bancone di un bar, spesso nemmeno pagati o costretti ad esibirsi in condizioni pietose. Avvicinatevi e ascoltate: la musica del futuro è sempre arrivata e deve arrivare da lì, o almeno per la maggior parte. Perché l’Italia è il paese dell’arte per eccellenza, ma quella originale e varia è spesso spazzata sotto i tappeti degli uffici dei grandi direttori discografici.
«Ho spesso la sensazione di essere contro tempo rispetto al ritmo delle cose. Due anni fa ero forte, con una canzone che diceva esattamente quello che volevo dire e dei risvegli che erano esattamente quelli che volevo vivere. Con orgoglio e convinzione ho cercato di fare ascoltare ‘Solo un uomo’ attraverso il Festival di Sanremo a più persone possibili. Ma nel 2009 al Festival di Sanremo non serviva ‘Solo un uomo’. È stata una delusione. Due anni dopo il festival di Sanremo vuole una mia canzone, o forse vuole me e la mia storia. Credo alla vicinanza di Gianni Morandi, molto meno alla ragione televisiva. Non ho nessuna canzone che sarei in grado di cantare su quel palcoscenico, non so ancora cosa di nuovo potrà scrivere la mia penna né cosa vorrà cantare la mia voce»
Niccolò Fabri – Febbraio 2011
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