Regista per antonomasia e firma dietro alcuni dei più grandi capolavori del cinema (Il Padrino, 1974; Apocalypse Now, 1979), Francis Ford Coppola ha dato vita ad una nuova forma di regia, introspettiva, psicoanalitica e dal grande impatto visivo. In questa cornice metodologica si inserisce il variopinto ritratto del Conte Dracula nell’omonimo film Dracula di Bram Stoker (1992).
Ripercorrendo le pagine del romanzo, il film è un intreccio di macabra decomposizione, fisica e morale, il cui emblema è il celebre conte transilvano, e di bruciante sensualità, la quale si incarna nelle sue spose lascive. Il personaggio di Dracula è qui nostalgica rievocazione dell’eroe byroniano; figura carismatica, potente, dimentico di Dio e della sua crociata nonché iniziatore di un individualismo sentimentale tipicamente romantico.
Con il volto di un grande Gary Oldman, il personaggio di Dracula è un demone atemporale, fieramente dannato, alla disperata ricerca dell’amata perduta, la principessa Elisabeta. Sempre contrassegnato da elementi purpurei e sanguigni che ne accrescono il macabro e terribile fascino, egli si nutre del sangue mortale come fanno le creature della notte, di quel sangue in cui risiede la mortalità umana, liquido denso di vita e passione così come lo fu, ferocemente e devotamente, la sua sposa suicida. Dracula è qui dunque l’eroe di un romanticismo noir e violento, truce come i demoni notturni che inneggiano serenate al chiaro di luna.
Contrariamente a questo sentimentalismo vittoriano si erge la sessualità prepotente e vibrante delle sue spose, donne-vampiro caratterizzate da un forte desiderio di sottomissione ad una virilità preponderante. Superbamente rappresentato è il processo di vampirizzazione della bellissima Lucy (Sadie Frost), una giovane e nubile aristocratica, irresistibilmente attratta dal male e dalle sue perversioni, masochista della morte che, agonizzante, geme lussuriosa in una bara aperta. Irridendo l’iconografia tradizionale, che veste di bianco le vergini spose, Coppola adorna la Lucy, finalmente vampira, di un maestoso abito elisabettiano, bianco e scintillante come la luce del cristallo, per sottolineare il suo status di sposa del Demonio.
Più delicata e meno appariscente è invece Mina, una pallida e cupa Winona Ryder, che interpreta il duplice ruolo di Elisabeta e della sua reincarnazione. Personaggio poetico e malinconicamente selvaggio, Mina è sognatrice, è sospirante, è la tigre nella gabbia di una relazione apatica e infelice. Scura e temporalesca, è simbolo e strumento dell’amore redentore, che attraverso il sacrifico libera il miserabile dall’eterna dannazione. Psicologicamente complesse e gotiche nel fascino, le donne spiccano per determinazione e particolarità, in un mediocre miscuglio di uomini corteggiatori insipidi e privi di qualsivoglia attrattiva.
Opposto ma speculare a quest’universo di perdizione è infine il personaggio del professor Van Helsing (un sempre impeccabile Anthony Hopkins), persecutore delle forze del male, nemico giurato di Dracula ma al contempo suo ammiratore devoto, disgustato da quella sua perversione che, irrimediabilmente, lo attrae e tormenta.
Pervaso da un senso perpetuo e latente di minaccia, da un’angoscia sopita fatta di ombre e di presagi, Dracula di Bram Stoker fa rivivere in modo vivido e accurato il classico dello scrittore irlandese, rendendo giustizia al romanzo che consacrò il mito senza tempo del vampiro, senza snaturare, come spesso capita negli adattamenti, le atmosfere e le sensazione trasmesse dall’autore, regalando così allo spettatore ore ricche di emozione e dense di un meraviglioso e inquieto terrore.