Oggi la Georgia è una repubblica parlamentare con a capo Salomé Zourabičvili. In qualità di paese appartenente all’ex blocco sovietico, la Georgia ha da sempre oscillato tra l’autonomia e la dominazione russa, fino alla tanta agognata indipendenza sopraggiunta nell’aprile del 1991. Una parte di questo fondamentale traguardo è stata giocata dalla rivoluzione civile del novembre 2003, quando le strade della capitale Tbilisi furono inondate dai cittadini che chiedevano le dimissioni del presidente Eduard Ševardnadze. In mano, in segno di pace, portavano delle rose. Era quella che poco dopo sarebbe stata battezzata la Rivoluzione delle Rose, la prima delle cosiddette “rivoluzioni colorate” che avrebbero tinto, negli anni successivi, anche altri paesi come l’Ucraina e il Kirghizistan. Quel giorno di novembre, la Georgia venne traghettata dall’era del socialismo a quella — più generica, ma più promettente — del post-socialismo.
La situazione prima della Rivoluzione delle Rose
Quando l’URSS si sgretolò, nel dicembre del 1991, la Georgia si era già dichiarata stato indipendente. Era, tuttavia, un paese allo stremo: l’economia arrancava, difettavano le leggi, la polizia era soffocata dalla corruzione, i gruppi separatisti in Abcasia e Ossezia del Sud esigevano l’autonomia. Il popolo georgiano desiderava la libertà, ma non aveva i mezzi per sfruttarla. La salita al potere di Eduard Ševardnadze, prima in qualità di presidente del Parlamento nel 1992, poi come capo di stato nel 1995, non condusse a notevoli miglioramenti: il suo governo si nutriva di una pericolosa alleanza con la Russia — paese che aveva soggiogato la Georgia sin dalla Rivoluzione d’Ottobre. Eduard Ševardnadze trionfò alle elezioni del 1995 e poi a quelle del 2000, riconfermandosi capo di stato, sebbene tra una miriade di proteste.
Tra i contestanti, Mikheil Saakašvili si distinse come un degno avversario, formando il partito d’opposizione UNM, ovvero il Movimento Nazionale Unito. Saakašvili tacciò Ševardnadze di frode elettorale e lo accusò di intrattenere rapporti ambigui con gli Stati Uniti. Con furbizia, esortò il popolo alla disobbedienza civile. Siamo già alle porte della Rivoluzione delle Rose ma, prima di entrare nel merito di quella giornata cruciale destinata a forgiare un nuovo cammino per l’intera Georgia, è bene tracciare un breve profilo dei suoi due grandi protagonisti, Eduard Ševardnadze e Mikheil Saakašvili.
Profili dei personaggi: Ševardnadze e Saakašvili
Se per i georgiani Eduard Ševardnadze puzzava di stagnazione, era perché egli proveniva dalla più stretta cerchia dell’ultimo presidente dell’URSS, Michail Gorbačëv: fu, infatti, primo segretario del partito in Georgia, membro del Comitato centrale e, da ultimo, ministro degli Esteri. Agli occhi europei, Eduard Ševardnadze giocò un importante ruolo nella politica di disarmo durante la Guerra Fredda, sostenendo insieme a Michail Gorbacëv una condotta di non interferenza verso i paesi esteri. Dovette affrontare le pretese separatiste dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud; perse lo scontro con la prima regione — che tutt’oggi ha un governo de facto autonomo — ma segnò un trattato di pace con la seconda, seppur non acquisendone totale giurisdizione territoriale. La criminalità nel paese intanto aumentava e iniziarono a gonfiarsi le accuse di frode e corruzione. Nel novembre 2003 la sua vittoria alle elezioni presidenziali fu considerata da tutti contraffatta. Dopo la Rivoluzione delle Rose, Eduard Ševardnadze si incontrò con l’avversario Mikheil Saakašvili e decise di dimettersi. Era il 23 novembre 2003.
Mikheil Saakašvili, istigatore della pacifica rivoluzione novembrina, vinse le successive elezioni con il 96% dei voti. Il nuovo presidente della Georgia era un ex avvocato, laureatosi in legge a Kiev e in seguito spostatosi tra gli Stati Uniti e la Francia. La sua inclinazione filoeuropea, o comunque filo-occidentale, era già percepibile in questi anni di studi all’estero. La scalata per la vetta politica della Georgia era cominciata nel 1995, quando Mikheil Saakašvili fu eletto membro del parlamento. Nel 1998 ne divenne il presidente, per poi passare nel 2000 all’incarico di ministro della Giustizia sotto il governo Ševardnadze. Fondò il partito di centrodestra Movimento Nazionale Unito e diventò persino sindaco di Tbilisi. Con questo curriculum alle spalle, Mikheil Saakašvili si preparava a sfidare l’avversario.
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La Rivoluzione delle Rose – fiori in parlamento
Tensione e trepidazione cominciarono ad accumularsi nel novembre 2003. I partiti d’opposizione e il popolo erano convinti che le elezioni parlamentari fossero state truccate. Durante una seduta del parlamento, il 22 novembre, Mikheil Saakašvili e i suoi sostenitori irruppero nel palazzo, interrompendo il discorso di Ševardnadze. Avevano in mano delle rose, fiore che poi avrebbe dato il nome alla Rivoluzione. Il presidente fuggì, seguito dalle scorte della polizia che da quel giorno in poi avrebbero presidiato la sua residenza. La sera del 23 novembre, Ševardnadze incontrava Saakašvili e, accettata la situazione, dava le dimissioni. Seguirono i festeggiamenti per le strade di Tbilisi, dove migliaia di persone si ritrovarono a gioire del successo della rivoluzione, tra concerti e fuochi d’artificio. La fortuna volle che fosse anche la festa di San Giorgio, patrono e protettore del paese.
Cosa migliorò dopo la Rivoluzione delle Rose…
Un documento governativo del 2004 dichiarava:
Nel novembre del 2003, il popolo della Georgia è insorto per protestare l’immane frode elettorale e l’ininterrotto declino economico, portando alle dimissioni del presidente Eduard Ševardnadze e risultando in quella che ora chiamiamo Rivoluzione delle Rose.
Non un passo verso la libertà e l’autodeterminazione, ma un’azione illecita, secondo la Russia, che temeva l’intromissione degli Stati Uniti nella faccenda.
Nonostante ciò, il nuovo governo di Saakašvili si dedicò al rafforzamento dello stato georgiano, concentrandosi su cinque punti: stabilire il principio di legalità (Rule of Law), introdurre delle riforme politiche e istituzionali, distribuire il potere centrale su tutto il paese, sollecitare una ripresa economica e investire sulla sicurezza. Obiettivi realizzati attraverso numerose operazioni, come l’arresto di politici corrotti, il taglio delle tasse, la privatizzazione delle aziende e un generale allineamento con l’Europa. Inoltre, venne istituita la carica di primo ministro della Georgia, assegnata a Zurab Zhvania, anch’egli in prima linea durante la Rivoluzione delle Rose. Combattendo contro ogni residuo passatista, Mikheil Saakašvili spronava: «Condurremo la Georgia nel ventunesimo secolo!».
…E cosa peggiorò
La Rivoluzione delle Rose non fu tutta rose e fiori.
Dopo la Rivoluzione delle Rose, la brama di libertà si tradusse in decisioni affrettate. I detrattori di Saakašvili diagnosticarono al suo governo una “sindrome post-rivoluzionaria” che, con l’esaurirsi della spinta iniziale, l’aveva portato all’immobilità. Molti dei cambiamenti promessi si dissolsero in nulla: non ci fu un riavvio del settore energetico, né di quello agricolo; il sistema giudiziario era ancora in attesa di riforme, soprattutto per quanto riguardava le prigioni. Inoltre, sembravano persistere dei residui di monopartitismo, poiché Mikheil Saakašvili si rifiutava di instaurare un dialogo con i membri dell’opposizione. Alla ricostruzione dello stato non venne appaiata la ricostruzione della democrazia.
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La Rivoluzione delle Rose oggi, quasi vent’anni dopo
Mikheil Saakašvili venne rieletto nel 2008. Nel 2013, scaduto il mandato, si trasferì in Ucraina. Lì, infatti, il presidente Petro Porošenko lo aveva nominato governatore dell’oblast di Odessa, provincia nel sud del paese. Saakašvili si mostrò convinto sostenitore delle proteste dell’Euromaidan, nel novembre del 2014. Quando però decise di abbandonare l’incarico di governatore, accusando allo stesso tempo Petro Porošenko di corruzione, l’ex presidente georgiano fu scacciato. Non essendo più il benvenuto in Ucraina e nemmeno in Georgia, Mikheil Saakašvili non aveva più una patria. Oggi, si trova nel carcere di Rustavi, città a sud-est dalla capitale: è stato condannato per corruzione e abuso d’ufficio dopo essere penetrato di nascosto in Georgia a bordo di una nave mercantile.
Sebbene la figura di Mikheil Saakašvili sia a dir poco contrastante, la Rivoluzione delle Rose per la Georgia è stata un importante passo verso un’identità nazionale, più viva, più sentita. Agendo come una sorta di esame di autocoscienza, il paese da quel momento in poi ha anche adottato la bandiera, lo stemma e l’inno che tutt’ora lo distinguono.
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Fonte principale:
- Lynch, Dov. The Rose Revolution and After. Why Georgia Matters, European Union Institute for Security Studies (EUISS), 2006, pp. 23–34.