fbpx

«The great wait is over»: il ritorno degli Oasis

Gli Oasis tornano dopo quindici anni, risvegliando la passione per un'epoca indimenticabile. Un tuffo nella storia, tra nostalgia e vitalità, che riafferma il loro ruolo di icone di una generazione.

4 minuti di lettura

Se sei un po’ fan degli Oasis, e l’algoritmo di Instagram o TikTok questo lo sa, dal 27 agosto avrai visto i social pullulare di video o di storie sulle varie reazioni dei nostalgici della band di Manchester in seguito all’annuncio della loro reunion. Tra i più frequenti, vi è probabilmente quello che vede un ragazzo alzarsi dal letto, rispolverare dal suo armadio vecchi parka oversize, Adidas ai piedi, occhialetti con lenti colorate in viso e un fare un po’ da sbruffone, pronto ad uscire di casa. «This is it, this is happening»: è tornata l’Oasis-mania.

Un’attesa durata quindici anni

Liam e Noel, o chi per loro, hanno fatto quella famosa chiamata di cui si parlava da tempo, quella che l’uno continuava a ripetere che avrebbe dovuto fare l’altro, che non avrebbe avuto senso, che sarebbe stato «un circo» – citando le parole di Noel. L’annuncio sui social parla di una grande attesa volta finalmente al termine: Ma non dovevamo vederci più?. Inconsciamente, i Caino e Abele della musica anni Novanta sapevano che c’era qualcosa da attendere, che non tutto era finito. Le infinite dichiarazioni rilasciate in questi anni in cui si parla di continuo di una reunion – certo, negandola, sdegnandola, calunniandola – sono la prova che nessuno dei due ha mai smesso veramente di pensarci. È stata sempre archiviata, in attesa di tempi migliori o che le stelle si allineassero, per usare un’espressione un po’ più fatalista. In ogni caso, è successo.

Leggi anche:
«Casa mia» di Ghali è un dialogo riflessivo con un alieno

Sognando gli anni Novanta con gli Oasis

Ultimamente, niente come gli anni Novanta è tornato così prepotentemente da far sembrare i due millenni tanto vicini. L’estetica della Gen Z, le serate a tema, il Teenager Dream, la rievocazione di una moda e di un tempo che mai come adesso è tanto forte. Con il ritorno degli Oasis siamo all’apice. Eppure, siamo veramente tornati negli anni Novanta? O siamo immersi in un’ondata nostalgica collettiva che ci porta a ricordare con favore tempi ormai andati, tempi che molti non hanno neanche vissuto, ma che mantengono l’aura di un passato abbastanza vicino da poter rendere proprio? La seconda sembra la più plausibile.

I tempi sono cambiati e, in un clima politico mondiale quanto mai pesante, caratterizzato da guerre, precarietà e sopraffazione, sognare gli anni Novanta risulta essere un’inevitabile conseguenza. Rispecchiarsi nelle canzoni e nell’energia vitale delle band come gli Oasis in Europa è ora del tutto comprensibile. Dopotutto, la nuova era britannica nacque in seguito al periodo del governo conservatore di Margaret Thatcher, percepito da buona parte della popolazione inglese come asfissiante. Il clima sociale era estremamente teso. La «Lady di ferro» aveva lasciato un senso di rabbia e di rivalsa nelle nuove generazioni che volevano riprendersi quella vitalità soffocata durante gli anni Ottanta.

Dall’altra parte dell’oceano dominava, invece, il grunge dei Soundgarden, dei Pearl Jam e dei Nirvana, che nel 1993 pubblicavano I hate myself and I want to die. Noel Gallagher, componente di una piccola band di Manchester che da un paio di anni suonava insieme al fratello nei tanti pub sgangherati e puzzolenti della sua città, imbraccia la chitarra e scrive la sua replica: Live Forever. È un successo. È la nascita di una nuova epoca di fermento in Inghilterra, dopo anni di silenzio imposto.

Leggi anche:
5 album musicali la cui cover è un’opera d’arte

Definitely Maybe e la voglia di rivalsa

Per il trentesimo anniversario, giovedì 29 agosto i fratelli Gallagher hanno ripubblicato il loro primo album: Definitely Maybe. È stato tra gli album d’esordio più venduti di sempre. «Abbiamo catturato l’atmosfera della metà degli anni Novanta. I ragazzi sono tornati ad uscire di casa, comprarsi vestiti, comprarsi i dischi e andare ai concerti. L’industria dei live esplose negli anni Novanta», ricorda Noel. I Gallagher erano due ragazzi di Burnage, un quartiere operaio nel sud di Manchester. Noel guardava Morissey e, soprattutto, Johnny Marr, chitarrista degli Smiths, fare cose mai viste e sentite prima in televisione, come un mazzetto di fiori che pendeva dalla tasca posteriore dei jeans di Morissey o come il modo di suonare innovativo di Marr. L’Inghilterra stava cambiando e, nel giro di pochi anni, gli Oasis, con i testi di Noel e la voce di Liam, ne sono stati i portavoce. Liam ha un modo di cantare lontano dalla perfezione dell’inglese dei Beatles, sul quale si potrebbe iniziare a studiare la lingua da zero. Come disse un giovane Peter Doherty, dei Libertines, ancora sconosciuto al mondo e intervistato da Mtv, citando Umberto Eco, Liam «is a town crier»: uno strillone. Non cantava con quel finto accento americano di molte band inglesi dell’epoca. Cantava come parlava un ragazzo dei sobborghi di Manchester, di tanto in tanto accentuando una vocale e storpiando una parola laddove servisse.

Gli Oasis hanno da sempre rivendicato le loro origini, l’estrazione sociale che li vide spesso come dei paladini della working class e che amplificò quella lotta tra classe operaia e borghese, tanto sentita durante e dopo l’epoca thatcheriana. Tutto in quel periodo cambiò: «I can tell you the way I feel / Because the way I feel is oh so new to me», cantavano nel primo singolo che circolò in radio, Columbia. Orwell stesso parlava di Manchester come “la pancia e le viscere della nazione”. Tutti i brani di Definitely Maybe, infatti, descrivono questa voglia di andare via e di arrivare in luoghi dal futuro migliore. La positività da loro cantata o le melodie energiche non erano il ritratto della società dell’epoca, quanto della società che sognavano, che non avevano ancora. Il brano di apertura al disco, Rock’N’Roll Star ne è la prova. «I live my life in the city / There’s no easy way out» attacca Liam con forza. Però, stanotte, vogliono crederci, stanotte sono delle Rock’N’Roll Star!

Leggi anche:
Sondare la realtà attraverso la musica

Trent’anni dopo, non sono più soltanto delle star, ma figure tangibili di un’intera epoca che amiamo pensare come unica e infallibile, ma che è stata principalmente alimentata dal sogno di una vita nuova e dalla volontà di rivalsa. Questa, forse, è stata la lezione più importante di quegli anni, che non abbiamo ancora dimenticato. Una vitalità che ha la meglio, che si fa spazio tra le privazioni e le depressioni di una società logora e incancrenita. Che l’entusiasmo del ritorno degli Oasis non significhi anche un po’ questo?

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Margherita Coletta

Classe 1998. Laureata in Letteratura Musica e Spettacolo, con una tesi in critica letteraria. Attualmente studia Editoria e Giornalismo a Roma. Le piace girovagare e fare incontri lungo la via. Appassionata cacciatrice di storie, raccontagliene una e sarà felice.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.