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«Le ripetizioni» di Giulio Mozzi

4 minuti di lettura

Giulio Mozzi esordisce a sessant’anni col suo primo romanzo Le ripetizioni (acquista), edito da Marsilio (2021); un romanzo che si aggiudica a pieno titolo l’ingresso nella dozzina dei candidati alla LXXV edizione del Premio Strega 2021.

Mario – il protagonista de Le ripetizioni, con una chiara connotazione autobiografica – è un uomo che inventa storie, e possiamo affermare con certezza che le sue storie sono le vere protagoniste di questo romanzo. Che siano vere o inventate, per l’autore e per il dispiegamento degli eventi, è del tutto secondario.

La trama de «Le ripetizioni» di Giulio Mozzi

Resta di fatto impossibile riassumere in una trama lineare Le ripetizioni di Mozzi, e questa è in parte la bellezza editoriale di quest’opera, che con le sue 360 pagine ci trasporta in una frammentazione della struttura narrativa che potrebbe stupire il lettore meno accorto, per poi però rapirlo con una scrittura curata in maniera quasi maniacale e in un universo di segni, sintomi e sinonimi di una galassia di pensiero che riguarda la condizione umana dell’uomo postmoderno. Chi di noi infatti non inventa storie per superare la patina opaca della quotidianità?

Le ripetizioni

Delle storie che ruotano intorno all’orbita di Mario però non manca l’intreccio, sviscerato attraverso l’alternarsi dei vari capitoli in cui il lettore rimane incollato al romanzo come nel più avvincente dei gialli, e si avvicina sempre più allo svolgimento e alla conclusione della vicenda (che tuttavia, in battuta finale, sembra sempre non del tutto conclusa). Così la complessità de Le ripetizioni di Giulio Mozzi si svela attraverso la somma delle piccole storie, e degli elementi che si rincorrono da pagina a pagina, da capitolo a capitolo.

Ascolta la puntata del nostro podcast Salotto Letterario dedicata al Premio Strega:

In una scrittura dettagliatissima dunque (ma mai didascalica), Mozzi mette insieme i tasselli della vita di un uomo che hanno un culmine temporale ben preciso: in ogni capitolo abbiamo la ridondanza del 17 giugno, che appare in maniera intermittente come una vera e propria ripetizione (come un gioco semantico e un omaggio al titolo dell’opera). Il 17 giugno è il giorno in cui accadono i fatti, in cui sembra esserci sempre un dispiegamento degli avvenimenti.

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A Padova, Mario ha una relazione con Viola, una donna che tutto sembra fuorché speciale o degna di nota, e che Mario tuttavia sta per sposare. Ma Viola e Mario sono due persone che hanno una vita parallela: Viola nei suoi languidi giovedì sera, e Mario con Santiago – che lo domina, sia fisicamente che psicologicamente. A Roma invece Mario si sposta, oltre che per lavoro, anche per vedere Bianca, una donna alla quale sembra esser profondamente legato e che rimane incinta. Bianca decide di portare avanti la gravidanza senza la presenza di Mario, facendo perdere le proprie tracce; e ancora una volta Mario decide di non dire nulla a Viola, continuando a lasciare le loro due vite scorrere in due binari paralleli che sembrano destinati a non incontrarsi mai.  

Eppure sembra che nemmeno queste storie, seppur osservate nella loro summa, riescano a restituire il vero valore della vita di un uomo – tanto che l’autore stesso, nei ringraziamenti alla fine, scrive «che l’importante non è la letteratura, l’importante è la vita – e il coraggio». Un coraggio che sembra perennemente mancare al protagonista, Mario, un ex sindacalista e uno scrittore apprezzato, che tuttavia si lascia permeare dagli eventi, interrogandosi in maniera compulsiva su di questi, ma senza mai di fatto fare nulla per cambiarne il corso.

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Una narrazione frammentata

La narrazione di Mozzi ne Le ripetizioni procede metodica e iperrealista: l’autore ci offre una gran quantità di dettagli intorno a elementi che magari non ne meriterebbero (come le letture in treno di Mario, o i discorsi sull’arte con il suo amico Gas). Tuttavia è proprio questa frammentarietà che ci restituisce un senso di immedesimazione. A spezzare la narrazione ci sono dei frammenti, o meglio delle schegge – come quelle che molti di noi hanno, e che non riescono mai a estirpare. Alcuni di questi frammenti sono legati per Mario al momento laconico e malinconico del ricordo, come quando – all’inizio del romanzo – durante una passeggiata nel giardino di Boboli a Firenze, sente il profumo del bosso. Odore che gli instilla da subito un sentimento nostalgico, una necessità – potremmo dire quasi una frenesia – di scavare il proprio passato per ritrovarne un filo d’Arianna. E da questo episodio, che lo costringe a tornare nella casa della propria infanzia per cercare dove fossero le piante di bosso che si ricordava di aver odorato da piccolo, si dipanano altre epifanie che portano ad altrettante storie. Così osserviamo Mario mentre rincorrere Franco Vaccari, il famigerato fotografo, chiedendogli di cercare tra le proprie esposizioni una fototessera che Mario si ricordava gli fosse stata scattata durante una visita con le scuole elementari alla Biennale, moltissimi anni prima, per entrare a far parte dell’esposizione dell’artista.

Attraverso quindi la ricostituzione della memoria, Mario – e Giulio, l’autore – tenta di dare un senso al presente, al qui e ora. E l’universo che ne emerge non è solo il compendio della vita di un uomo – un uomo che diventa improvvisamente chiunque – ma anche un universo di simboli e scene di vita quotidiana che fanno parte del nostro subconscio; come se leggendo il libro ci fossimo improvvisamente ricordati di un sogno che avevamo fatto e di cui finora ci eravamo dimenticati.

«Che cosa importa, se un ricordo è vero o falso? Che cosa importa, se la nostra vita, la vita di chiunque, è vera o inventata? Il passato è passato, e non ha nessuna consistenza reale; le conseguenze sono eventi nuovi, e che veramente conseguano dal passato, e se questo eventuale conseguire dia veramente una consistenza reale al passato, è un’immaginazione come un’altra. E le invenzioni della fantasia, le storie raccontate, i sogni, i ricordi, non sono né più né meno reali di queste mani che sollevo davanti alla faccia, e guarda, di te che mi ascolti, della storia che ti ho appena raccontata. La nostra vita reale, se è reale davvero, questa fu l’ultima parola di Mario, avviene ora; e niente è più fuggevole e impalpabile dell’ora»

 


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Ester Franzin

Lettrice incallita, amante della letteratura e della lingua italiana in tutte le sue declinazioni. Classe 1989, è nata in un paesino della Pianura Padana. Si è laureata in Storia dell’Arte a Venezia e poi si è trasferita a Rimini, nel cuore della Romagna. Ha frequentato la scuola Holden di Torino e pubblicato il suo primo romanzo «Il bagno di mezzanotte».

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