Che cosa significa stare bene con sé stessi? Spesso ci interroghiamo su questa domanda. Il benessere mentale appare come una vetta insondabile da raggiungere, tanto che l’epiteto “equilibrato” ha assunto negli ultimi anni un’aura quasi mistica, inattingibile.
Nomi tra i più celebri della letteratura hanno cercato di rispondere a questa domanda, attraverso il veicolo di storie e dei personaggi che le animano, raggiungendo vette inesplorate e rivelatrici – talvolta più di molti studi esperti nel campo che si sono addentrati in quel perimetro incerto che ancora oggi è la psicologia.
Parlare delle origini nella letteratura della ricerca del benessere psicologico è un intento che appare quasi insormontabile (già gli antichi avevano provato a dare multiformi risposte a quella che è una vexata quaestio – e talvolta lo hanno fatto con insegnamenti e mantra che ancora oggi forse funzionerebbero più di molte altre cose). In questa sede, vogliamo farlo partendo con ordine da alcuni grandi autori dell’epoca postmoderna (in particolare dall’inizio degli anni ’80 del Novecento), sino ad arrivare ai giorni nostri.
Autori come Thomas Bernhard o Milan Kundera – innestati in un’epoca che cambia in modo corrivo e che è letteralmente annientata da un capitalismo spietato e avventato – rifiutano ciò che li ha preceduti e lo fanno intrecciando e creando storie uniche nel loro genere, evoluzioni inaspettate dei loro personaggi, attraverso uno stile che sfida il tempo stesso in cui vivono, un impianto narrativo che ottenebra la narrativa tradizionale.
La scrittura di Thomas Bernhard scava in profondità in una sorta di analisi pedissequa della mente umana: la sua penna aspira ad avere contezza delle ombre della memoria e della psiche umana nella costante ricerca dei moti ondosi che abitano la mente dei suoi personaggi, attraverso la ricerca dei fattori causa-effetto. Con monologhi lucidi e soliloqui altrettanto disincantati, Bernhard si fa portavoce di una nuova fase della letteratura: quella dell’analisi della psiche dell’uomo postmoderno, incastrato in un mondo che sembra non appartenergli più.
Partendo da Perturbamento (1981), dove il soggetto è sostanzialmente l’analisi del rapporto padre-figlio e la specificità dei personaggi si trasforma ben presto in un’interpretazione universale, mette sul piatto niente meno che la questione insolvibile dell’ascendenza e dell’origine. Pregno di angoscia recalcitrante e sotto il giogo di un reta…