Ricciardo e Zoraide, una nuova produzione, inaugurerà sabato 11 agosto alle ore 20,00 all’Adriatic Arena di Pesaro la XXXIX edizone del Rossini Opera Festival, che quest’anno festeggia il 150esimo anniversario della nascita di Gioacchino Rossini.
«In Ricciardo e Zoraide – sottolinea il sovrintendente del ROF, maestro Ernesto Palacio – avremo il gradito ritorno del direttore Giacomo Sagripanti alla guida della prestigiosa Orchestra Sinfonica nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso, e il debutto del regista Marshall Pynkoski, molto raffinato e che ha riscosso successi alla Scala di Milano e al Festival di Salisburgo. Tra i cantanti sono da segnalare le prestigiose presenze di Juan Diego Florez, Pretty Yende, Sergey Romanovsky e Nicola Ulivieri, ai quali si aggiungeranno gli ex allievi dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”, Victoria Yarovaya, Xabier Anduaga, Sofia Mchedlishvili, Martiniana Antonie e Ruzil Gatin . Il team creativo include Gerard Gauci per le scene, Michael Gianfrancesco per i costumi, Michelle Ramsy per le luci e Jeannette Lajeuneusse Zingg per le coreogirafie».
Al Rossini Opera Festival sono state rappresentate 38 opere su 39 che completano il catalogo rossiniano. Manca Eduardo e Cristina, la cui edizione critica è al momento in fase di preparazione, e sarà pertanto possibile programmarlo, sottolinea Palacio, in una delle prossime edizioni del Festival.
L’opera in breve
Ricciardo e Zoraide è un dramma serio per musica in due atti su libretto di Francesco Berto di Salsa. Fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 3 dicembre 1818. Fra gli interpreti della prima rappresentazione vi fu anche il soprano Isabella Colbran, che poi divenne moglie di Rossini, nel ruolo di Zoraide.
Bisogna rifarsi ad un saggio del libretto di sala Ricciardo e Zoraide, del grande musicologo americano Philip Gossett, per comprendere la stria e le vicissitudini del libretto rossiniano . Innanzitutto venne scelto un poema eroicomico , il Ricciardetto (1716-1725), pubblicato postumo , con dei riferimenti chiaramente ariosteschi, come l’amore, la gelosia e l’onore tra cavalieri cristiani, principesse asiatiche e re nubiani, che si snodano fra allusioni e metafore e che ebbe una certa fortuna fino al primo Ottocento, quando fu ristampato.
Ma perché Rossini scelse un poemetto eroicomico per la sua opera? Perché Rossini nel periodo napoletano (1815-1822) utilizza varie fonti letterarie. Dalla Gerusalemme Liberata di Tasso per Armida, dall’ Othello di Shakespeare per Othello, dalla Bibbia e Ringhieri con L’Osiride per il Mosè in Egitto, da Racine Andromaque per Ermione e il Forteguerri Ricciardetto per Ricciardo e Zoraide. E la lista sarebbe anche più lunga. Dunque Rossini utilizza il suo genio musicale prendendo delle fonti che va dal poema cavalleresco italiano del Cinquecento fino ai più aggiornati generi letterari del momento, in un percorso orizzontale che dal romanzo gotico porta alla poesia romantica inglese e il teatro proto romantico italiano, passando attraverso il teatro elisabettiano e francese.
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Eppure queste molteplici fonti vanno prese in considerazione in una prospettiva strutturalista e deve fare i conti con i modelli drammaturgici , che in Ricciardo e Zoraide, ha un esempio chiaro. Nel tentativo di integrare in un libretto d’opera figure e rapporti concepiti nei termini di un genere letterario affatto diverso, il librettista Berio, creò una trama di eventi, personaggi ed emozioni complicata e non sempre pienamente sotto controllo. Vi sono coinvolti cavalieri cristiani (Ricciardo è il più coraggioso), un principe asiatico e sua figlia (Ircano e Zoraide), un re africano nubiano e sua moglie. Rossini fu sopraffatto ma anche emozionalmente coinvolto da questo pluralismo etnico-culturale, ma non si impegnò , a differenza per quanto avvenne per i ritratti accurati per i Turchi in Maometto II, o degli Scozzesi nella Donna del lago, per creare delle caratterizzazioni. E pertanto ancora oggi lo spettatore deve leggere con attenzione la storia di una vicenda complicata e articolata. Per fortuna che la conclusione del dramma, è a lieto fine, con i cavalieri cristiani che prendono d’assalto il carcere e ne liberano i prigionieri, mentre Ircano dà la sua benedizione al matrimonio di Zoraide con Ricciardo, e quest’ ultimo perdona con generosità Agorante.
Il testo del libretto di Berio non regge rispetto ai libretti napoletani di Ermione, La donna del lago, Maometto II e Zelmira, e di questo si accorse anche Rossini, ma il genio del pesarese fu tale di trovare situazioni liriche e drammatiche da utilizzare come una specie di puzzle nel contesto drammaturgico dell’opera. Un’opera che venne apprezzata nel periodo napoletano e nei teatri europei. Poi, come è accaduto per altre opere rossiniane, l’oblio
Un giudizio del compianto e indimenticabile musicologo Philip Gossett:
“Personalmente, preferirei un mito diverso per Ricciardo e Zoriade, osannato, perchè tornava a forme, modi vociali e strumentazioni più semplici e meno teutonici. Nessuno può dubitare che il Rossini di Ricciardo e Zoraide sia lo stesso Rossini che con i lavori napoletani scrisse una pagina nuova nella storia dell’opera italiana. Chi andasse in cerca della ricca orchestrazione e della esuberante scrittura vocale che caratterizzano la maturità rossiniana, ne troverà in abbondanza in questa partitura. Ricciardo e Zoraide è un’opera di bellezze semplici e trasparenti e di non minor valore rispetto alle altre opere del periodo napoletano”
Paolo Montanari