Il 10 ottobre, in onore della giornata internazionale per la salute mentale, è stato inaugurato lo sportello “Primo soccorso psicologico” a sostegno delle vittime di revenge porn. Lo sportello nasce in Italia grazie alla collaborazione tra la startup Tconsulta e l’associazione PermessoNegato e può essere contattato e prenotato tramite smartphone usando la helpline del sito ufficiale dell’associazione, disponibile h24. I responsabili di questa iniziativa promettono sicurezza online, libero accesso senza distinzioni di genere e servizio completamente gratuito. Ogni vittima può avere tre consulenze più un’eventuale quarta e sarà seguita per ottenere gli strumenti necessari fino alla sua totale riabilitazione.
L’era di internet, le connessioni digitali, i social network hanno cambiato il nostro stile di vita e la percezione della realtà. Si sono create relazioni nuove basate sullo scambio multimediale di interessi, foto ed opinioni soprattutto con persone sconosciute. Ciò ha creato un circolo vizioso di pubblicazioni e condivisione di materiale esplicito per acquisire notorietà giocando con la vita degli altri.
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In questa nuova realtà è nato il revenge porn, una vera e propria violenza sessuale fatta online. Letteralmente “vendetta porno”, si intende la diffusione senza consenso di immagini o video intimi con l’intento di denigrare la persona ritratta. Nella maggior parte dei casi si tratta di un’azione svolta al fine di umiliare un ex partner pubblicando materiale pornografico che lo riguardano. Di solito l’ottenimento dei materiali avviene durante le relazioni o frequentazioni e non è raro che il carnefice lo faccia con l’inganno, come ad esempio nascondendo telecamere per riprendere la vittima. La Polizia Postale ha ammesso che nel 2021 sono aumentati anche i casi di sextortion. Si tratta di minacciare e ricattare qualcuno per la pubblicazione di materiale intimo per ottenere favori o per puro divertimento.
I dati dello sportello psicologico
Gli esperti dello sportello “Primo soccorso psicologico” hanno spiegato che l’azione di revenge porn ha effetti collaterali distruttivi sulle sue vittime. Si parla di isolamento, stigma sociale, familiare e lavorativo con sensazioni di vergogna, depressione, atti autolesivi e suicidi. In Italia i dati sono in crescita, un’analisi svolta tra maggio e giugno da PermessoNegato ha evidenziato che il 4,1% ha scoperto di essere stato soggetto di materiale pornografico senza consenso, 70% sono donne e il 13% appartiene alla comunità LGBTQIA+.
Tuttavia le percentuali sono aumentate con l’arrivo della pandemia, che ha costretto le persone ad affidarsi completamente e totalmente al mondo di internet. Nel 2020 il 63% dei coinvolti ha dichiarato di essersi scattato le foto personalmente per inviarle a partner fissi e occasionali. Telegram è lo strumento digitale più denunciato per le divulgazioni illecite grazie alle inchieste svolte da Wired tra il 2019 e il 2020. L’accusa mossa al social network è di non garantire la privacy degli utenti e permettere il caricamento di qualsiasi documento senza prima averlo controllato. Nelle chat pubblicate da Wired ci sono utenti sconosciuti, provenienti da luoghi diversi e senza fascia di età protetta che si scambiano materiale esplicito.
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Le normative per combattere il revenge porn
Lo scambio e la diffusione di contenuti intimi senza consenso è un reato che viola il Codice penale e il Codice privacy. In Italia a luglio del 2019 è stato approvato il disegno legge “Codice rosso“, grazie a cui si è stabilito che chiunque ceda, pubblichi o diffonda contenuti intimi senza consenso venga punito con una pena da 1 a 6 anni di carcere con multa fino a 15mila euro.
La pena si estende anche a coloro che contribuiscono alla condivisione di tali materiali inviandole ad altre persone e rendendoli virali sul web. Questa legge ha introdotto l’articolo 612-ter del Codice penale italiano, che presenta due commi. Il primo riguarda la persona che scatta o riprende la vittima e diffonde personalmente il materiale. Il secondo riguarda coloro che non denunciano ma aiutano nella condivisione. Tuttavia non sono mancate critiche poiché il suddetto articolo presenta un elemento di dolo: la persona che diffonde tali documenti deve agire per arrecare danno al soggetto dei contenuti per rientrare nel reato. Le critiche nascono per timore che la norma venga applicata in modo restrittivo assolvendo chi invece pubblica i materiali per divertimento.
Per il Codice privacy un ruolo importante lo svolge il Garante per la protezione dei dati personali la cui attività affianca gli inquirenti e l’autorità giudiziaria, a tutela della riservatezza, della libertà sessuale e dell’onore delle persone. Per questa ragione è nata la legge numero 205/2021 che ha introdotto l’articolo 144 bis del Codice privacy. Questo ha stabilito che chiunque abbia un fondato motivo di credere che documenti intimi possano essere pubblicati senza il suo consenso deve rivolgersi al Garante.
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Per quanto riguarda il ruolo delle piattaforme digitali, esse sono tenute a mantenere intatti i documenti per fini probatori alle indagini. Nel caso non dovessero denunciare la pubblicazione di contenuti sessualmente espliciti o ritardare il reclamo, saranno sanzionate tramite l’articolo 612-ter.
Il primo caso che ha sconvolto l’Italia
Le novità introdotte dai Codici penale e privacy del nostro paese sono considerate di fondamentale importanza per la tutela delle vittime di revenge porn. Secondo i dati di una ricerca del 2021 condotta da Women for security solo il 75% delle vittime crede che la denuncia sia un modo efficace per contrastare il fenomeno. Molte persone invece decidono di non ricorrere alla denuncia per evitare ulteriori umiliazioni sociali e di continuare ad essere violati e privati della loro intimità e riservatezza.
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Prima del 2019 in Italia non esisteva una legge che garantisse un equo processo per le vittime di un reato simile. La storia che ha aperto il dibattito per il revenge porn è quella di Tiziana Cantone, 33 enne suicida dopo la diffusione di video espliciti amatoriali senza il suo consenso. Ricordiamo che i video della donna furono esportati in tutto il territorio italiano diventando oggetti di repliche e satira con creazioni di magliette e gadget. Il video diventato virale non fu bloccato ed eliminato dai siti web, nonostante le richieste degli avvocati di rimuoverlo da YouTube esso venne solamente modificato ed eliminato parzialmente. Dopo il suo suicidio si parlò per la prima volta in Parlamento di revenge porn portando all’approvazione del Codice rosso e all’apertura dello sportello psicologico.
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