La sala è piena e quando le luci si abbassano e il mormorio che precede l’inizio del film si smorza, l’atmosfera inizia a cambiare: a iniziare è Revenant – Redivivo, l’ultima fatica cinematografica di Alejandro Gonzalez Iñárritu, che porta sul grande schermo la storia di Hugh Glass, cui presta il volto Leonardo Di Caprio, già vincitore, per questa interpretazione, del Golden Globe.
Comincia a fare freddo, in sala, quasi sembra di essere nel Missouri del 1830, una terra a mezzo tra la wilderness più selvaggia e lo sfruttamento da parte di soldati, pionieri e cacciatori di pelli che cercano di trarne profitto per loro e per le loro famiglie. In tutto questo, si colloca una figura a metà, quella, appunto, del protagonista Hugh Glass, che non è un mercenario, non è un soldato e nemmeno un cacciatore di pelli: Glass è anzitutto un padre e un vedovo, la cui moglie, una nativa americana, è stata brutalmente uccisa davanti ai suoi occhi in un attacco militare da parte degli americani e gli ha lasciato da proteggere un figlio “scomodo”, mezzo indiano e mezzo no. In secondo luogo, Glass è la guida che ha il delicato compito di riportare al sicuro all’avamposto la compagnia dei cacciatori di pelli, che da trenta membri ne conta solo una decina dopo un attacco indiano magistralmente reso tramite una steady camera, per cui ogni attore viene seguito dalla cinepresa in un crescendo di vorticoso realismo.
Caso vuole che in un’uscita in solitaria durante una sosta, Glass venga attaccato violentemente da un grizzly, che lo riduce in condizioni prossime alla fine: le sorti si ribaltano, e la compagnia non solo se la deve cavare senza Glass e la sua conoscenza del territorio, ma anche si deve preoccupare della guida, in condizioni sì gravissime, ma che comunque tiene duro, tenacemente attaccata alla vita.
Spinto dall’unica legge che vige in certe condizioni, il capitano della spedizione prende la decisione dalle conseguenze – apparentemente – meno dannose: a curare Glass rimangano in tre, dietro compenso, gli altri, invece, procedano nella neve verso l’avamposto. E così, accanto alla lettiga improvvisata del protagonista rimangono il figlio, un giovane soldato dal cuore e dalla coscienza candidi come la neve e l’ambiguo Fitzgerald, interpretato da Tom Hardy.
In un crescendo di tensione, con la minaccia incombente degli indiani, la situazione precipita, culminando in un orribile tradimento di Fitzgerald nei confronti di Glass: lasciato solo con se stesso perché ritenuto ormai spacciato, ma in realtà riuscito a rimettersi in piedi, l’unico obiettivo che perseguirà il protagonista, da questo momento in poi, sarà quello di vendicarsi del pesantissimo torto subito.
Revenant è un film che si gioca sul doppio: il gelo e il fuoco, il bianco della neve e il rosso del sangue, il tener fede alla parola data e il tradimento, il sopravvivere e il soccombere, la vita e la morte. Ci sono, in ultima analisi, Glass e Fitz.
In una natura che non è cattiva di per sé, ma è semplicemente quella che è e che il regista mette in evidenza tramite una fotografia “da cartolina” a campo molto largo, agiscono personaggi complessi, che riescono a trasmettere allo spettatore tutte le sfaccettature della loro interiorità, anche e soprattutto grazie al grande talento dei due interpreti protagonisti.
Revenant è anche un film dal realismo estremo: il respiro appanna la telecamera, che riprende un Di Caprio in grado di veicolare tutta la sofferenza, fisica e psicologica, del suo personaggio; il sangue scorre vigoroso stagliandosi, col suo vivido cuore, nella neve; la sopravvivenza, il solo mezzo tramite il quale il protagonista può riuscire ad attuare la sua vendetta, viene mostrata in tutta la sua crudezza, e il regista non si tira indietro dal mostrare senza filtro le discutibili pratiche mediche e alimentari cui si piega il protagonista.
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E infine, il titolo: nel folklore europeo, il revenant è una creatura a metà tra un fantasma e uno zombie, un qualcuno che torna dall’oltremondo per vendicarsi dei vivi; molto sfruttata nell’universo horror, questa figura viene ripresa da Iñárritu, che si gioca così la sua carta per quanto riguarda il mettere su schermo il filone della vendetta.
Una è soprattutto la questione che rimane con lo spettatore quando si riaccendono le luci: Glass non è tornato alla vita dopo essersi svegliato, ma alla sopravvivenza, che è in un primo momento il medium per arrivare alla realizzazione del progetto di vendetta, e in un secondo momento quello che potrebbe attenderlo quando e se questo progetto sia stato portato a termine. Sfruttando la battuta forse già un po’ sentita «non ho paura di morire: sono già morto», il film si chiude in modo estremamente convincente, in un crescendo di crudo realismo, che continua – lo vedrete, o meglio lo sentirete – anche a telecamera spenta, quando già scorrono i titoli di coda.
Revenant è in definitiva una pellicola audace, che tiene lo spettatore continuamente “sul pezzo” per tutti i 156 minuti della sua durata; ma è anche la prova provata di una regia magistrale, che guida interpreti altrettanto magistrali, indicando loro cosa fare e come recitare per rendere al meglio l’effetto voluto.
È, in sostanza, una papabile pellicola da Oscar plurimo con la quale, si spera, Leonardo Di Caprio possa finalmente riuscire a vincere l’ambita statuetta.
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