Nella giornata in cui si festeggia (o si dovrebbe festeggiare) la Liberazione dall’antifascismo sarebbe necessario riflettere non solo sul senso di quella liberazione, sul significato storico della resistenza, sull’eredità politica di quell’esperienza, ma anche sui modi e sulla storia della rappresentazione, o addirittura, come nel caso di Renato Guttuso, “autorappresentazione”, di quell’evento fondamentale della Storia italiana e non solo.
Diverse opere di Guttuso dal ’37 al ’45 potrebbero essere lette come componente visiva d’eccellenza di quella grande epopea resistenziale che è stata declinata in forma letteraria, tra gli altri, da Franco Fortini, Giorgio Bassani, Giuseppe Ungaretti, Gianni Rodari, Salvatore Quasimodo, Cesare Pavese, Pier Paolo Pasolini, Primo Levi, Corrado Govoni, Elena Bono, Piero Calamandrei.
Guttuso giunge ad una reale consapevolezza politica, che lo porterà poi a un impegno diretto nella Resistenza, solo con la frequentazione di Corrente: il gruppo legato al quindicinale nato nel 1938 per iniziativa del pittore Ernesto Treccani. L’esperienza si concluderà nel 1942. Durante quegli anni, inoltre, egli assimila alcuni elementi chiave dei suoi stilemi pittorici (Van Gogh, Picasso e l’Espressionismo) e matura il suo impegno politico antifascista, condiviso dagli altri giovani del gruppo. Guttuso scrive nel suo diario: «Questo è tempo di guerra e di massacri; Abissinia, gas, forche e decapitazioni, Spagna, altrove».
Già durante il periodo di Corrente egli esegue opere infuocate e piene di ardore rivoluzionario, con quella stessa energia che dal colore magmatico muterà in crudo bianco e nero nei disegni eseguiti durante i difficili mesi di vita partigiana. Risale al 1937 Tavola, sedia gabbia e finestra, nel quale la tensione che sembra muovere gli oggetti non è altro che espressione dell’imminente tragedia della guerra, a cominciare da quella che impazza in Spagna.
Il segno in Guttuso è sempre politico perché veicola sempre una “protesta” che sia politica o interna al mondo dell’arte stesso; per lui la pratica creativa è sempre, come alla maniera di Picasso, «arma di offesa e difesa contro il nemico».
Dopo la parentesi che vede Renato Guttuso vicino alla sponda più progressista della cultura fascista rappresentata a livello istituzionale dal ministro Giuseppe Bottai e la sua partecipazione ai Littorali di Roma, il 25 luglio del 1943 è la data della svolta: il pittore dilegua ogni dubbio sulla sua posizione rientrando a Roma in rappresentanza del Pci e partecipando al comitato di accoglienza per gli antifascisti confinati. Di lì a poco sarebbe entrato a pieno titolo nella Resistenza.
A Milano egli tenne i collegamenti clandestini con la Sicilia; dopo l’arresto di alcuni suoi compagni lasciò Milano e, dopo un breve soggiorno a Roma, si rifugiò a Quarto ospite dell’amico Alberto Della Ragione, divenuto mecenate del gruppo di Corrente. È proprio durante il breve soggiorno romano che egli inizierà la serie dei disegni sui Massacri, nel gennaio del 1943. Questa serie confluirà nel corpus di Gott mit Uns che significa, in tedesco, “Dio è con noi” ed era la scritta incisa sulla fibbia d’acciaio dei soldati nazisti e delle SS. Per questa serie di grafiche egli impiegò gli inchiostri delle tipografie clandestine; l’insieme delle tavole è stato presentato nel ‘45, subito dopo la Liberazione, al Teatro delle Arti di Roma nella mostra L’arte contro la barbarie. Antonello Trombadori ne riconobbe subito la compiutezza poetica nell’evocazione del tema umano e il realismo psicologico: ciò che colpisce in questi disegni è la capacità di registrare l’evento storico nella sua specificità e il dramma umano nella sua più pura universalità, tale da superare i confini del tempo e accreditarsi come denuncia di ogni violenza e di ogni ingiustizia perpetrata da uomini su altri uomini. L’occhio dell’artista qui non si applica al particolare privilegiando invece il tratteggio delle masse e dei corpi e la sottolineatura del dinamismo; l’artista più che disegnare sembra tracciare di continuo “linee di forza” destinate a intricarsi convulsamente. Il tratto rapido e incisivo diventa strumento e fine allo stesso tempo.
Renato Guttuso sentiva l’arte come missione, esigenza di testimonianza, necessità di rappresentazione; egli amava ripetere una frase di Puškin: «descrivi, senza fare il furbo, tutto ciò di cui sarai nella vita testimone».
Trentacinque anni dopo l’uscita della prima versione di Gott mit Uns, Guttuso decise di ridisegnare alcune di quelle tavole. In un’intervista del 1980, anno della uscita di questa sorta di “versione aggiornata” dei disegni resistenziali di Guttuso, egli ha dichiarato che la maggior parte dei pezzi erano andati perduti. La capacità guttusiana di tradurre dal vivo e “nel vivo” della scrittura grafica l’orrore della guerra spinse Vittorio De Sica a chiedere all’amico artista di realizzare per lui alcuni disegni, raffiguranti i terribili supplizi perpetrati dalle SS in tempo di guerra, per alcune sequenze del film I sequestrati di Altona.
Nonostante il vero e sincero impegno politico di Renato Guttuso durante tutta la sua esistenza, non solo durante la guerra ma anche successivamente come dirigente del PCI, l’ispirazione dell’artista sembra sostanziarsi nel profondo di un sentimento oscuro, “intrisa di morte”, nonostante l’impegno rivoluzionario dell’artista/intellettuale e il colorismo sfavillante di molte tele . Egli sembra davvero un “pittore nero”; del resto come scriveva acutamente Dominique Fernandez «il vero e migliore Guttuso è rimasto un autentico siciliano, cioè un poeta della rassegnazione e della morte, della sconfitta e del massacro, nonostante i principi rivoluzionari… la sua sicilianità di fondo lo condanna a sentire, da artista, solo il lirico disordine degli oltraggi».
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