Il 25 maggio 2018, l’Irlanda dice sì all’aborto con un trionfale 68% di voti favorevoli. Un risultato per certi aspetti sorprendente, vista la strenua e inarrestabile propaganda del no, che ha sbandierato in piazza macabre immagine di feti abortiti mettendo in atto una moderna caccia alle streghe.
L’opinione pubblica esulta, in Europa come all’estero, per questo nuovo passo verso l’emancipazione femminile. Ma forse esulta per la ragione sbagliata. Questo referendum è stato davvero una questione legata al femminismo, all’indipendenza e libertà della donna, o è stato l’estremo conflitto fra l’Irlanda di ieri e quella di oggi?
L’Irlanda di ieri, per chi ci vive o ci ha vissuto, è una realtà fatta di fanatismo religioso, di predicatori da strada, di giovani che indossano targhette con scritto ‘Gesù’ e che ti fermano per strada chiedendoti di diventare amici. L’Irlanda di ieri è un mondo di piccole chiese, di famiglie a messa la domenica. Ma al tempo stesso, nell’Irlanda di ieri, ragazze giovanissime spingono carrozzine pesanti, un fardello non voluto, dovuto alla disinformazione, dovuto anche all’incoscienza e stupidità dell’età, e a tante altre ragioni che non è necessario citare in questa analisi.
Dall’altra parte, c’è un futuro di giovani che manifestano in piazza per i loro diritti, un mondo con poca esperienza e tanti sogni. È l’Irlanda di oggi, delle nuove generazioni, stanche del bigottismo, delle rigide norme morali. È un mondo dove il pantalone prémaman lascia il posto alla minigonna, il biberon alla bottiglia di birra, e l’oscurantismo del passato è illuminato dalla luce del progresso.
Questo è stato il referendum, e ha vincere è stato un desiderio di modernità.
Ma non tutti hanno avuto la lucidità e preparazione necessaria per comprendere la portata epocale di questo fenomeno. Come aspettarsi qualcosa di diverso? In molti hanno condannato questa scelta, e anche la nostra cara Italia non manca nella lista dei simpaticoni con frasi da biscotto della fortuna, sul genere «L’aborto è la prima causa di femminicidio». Ebbene, a costoro è necessario ricordare due o tre cosette. In primo luogo, in Irlanda il numero di aborti praticati illegalmente era salito vertiginosamente, così come il numero delle vittime della setticemia o di infezioni varie. Secondo, l’Irlanda non prevedeva l’aborto neanche in casi estremi, come in casi di stupro oppure in seguito a diagnostiche di gravi patologie del feto.
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Ciò per cui il Paese ha votato, ciò che l’Irlanda di oggi vuole, non è legalizzare l’aborto come fosse un metodo contraccettivo, una rapida scappatoia. Al contrario, la maggioranza del popolo irlandese esige il riconoscimento dell’aborto come pratica medica. Le donne irlandesi non vogliono la legalizzazione dell’aborto perché è più facile, ma perché è giusto. È giusto che l’aborto venga praticato negli ospedali, non in degli scantinati, che a farlo siano medici professionisti, non mammane improvvisate. È giusto perché dietro ad ogni gravidanza, desiderata o meno, c’è una storia di vita che non è nostro compito giudicare. Ciò che possiamo fare, invece, è riconoscere il grande passo che questo Paese ha saputo fare verso il mondo moderno, verso una moralità consapevole, non imposta, e che questo sia l’inizio di un nuovo e brillante futuro per questa controversa ma splendida nazione.