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L’arte classica protagonista in Fondazione Prada

Fino al 27 febbraio 2023, la mostra Recycling Beauty interroga sul riuso delle antichità greco-latine in contesti post-antichi

3 minuti di lettura

«Sorridi benevola al Bambino nascente, con il quale cesserà l’età del ferro e sorgerà quella dell’oro in tutto il mondo». Sebbene oggi l’ipotesi più accreditata è che, in questo verso delle Bucoliche, Virgilio volesse rendere omaggio all’imperatore Ottaviano con una captatio benevolentiae del suo nascituro, nel Medioevo il “Bambino nascente” di Virgilio altri non poteva essere che Gesù Cristo. Questa non è soltanto un’idea sbagliata, ma la ragione per cui il poeta è tra gli autori latini i cui testi sono stati meglio conservati nei secoli di egemonia della cultura cristiana in Occidente. La stessa ragione per cui di altre opere, come le poesie omoerotiche di Saffo, non è rimasto quasi più niente. Lo stesso principio si può applicare all’arte: «Se il grande oscillum di Velletri si è conservato bene è anche perché impropriamente travestito da Deposizione di Cristo». Così commenta Salvatore Settis presentando Recycling Beauty, mostra realizzata in collaborazione con Anna Anguissola e Denise la Monica e curata da Giulio Margheri e Rem Koolhaas. L’esposizione è visitabile nella sede milanese di Fondazione Prada fino al 27 febbraio 2023. Per l’occasione sono stati utilizzati gli spazi del Podium e della Cisterna, che ospitano più di cinquanta opere d’arte classica in prestito dai più grandi musei italiani ed europei.

L’allestimento di Recycling Beauty

Il tema centrale su cui affonda le radici Recycling Beauty è quello del riuso delle antichità greco-latine in contesti post-antichi. L’allestimento è sobrio e didascalico, per invitare il visitatore ad una fruizione ragionata, allo studio dell’opera come dentro ad un «laboratorio», usando un’espressione del curatore Rem Koolhaas. A dimostrarlo sono alcuni pezzi, come le sette teste di età romana riutilizzate nel XV secolo per la decorazione di Palazzo Trinci, o ancora il cammeo della famiglia di Costantino (326 d. C.) incastonato in un evangeliario nel VIII secolo d. C., posizionati su dei tavoli davanti a delle sedie. Il progetto, simile soltanto a Serial Classic (allestito nel 2015 sempre da Settis e Anguissola), ha un aspetto diverso da quelli più tipici dello spazio milanese, a cui si sono spesso avvicinati curiosi in cerca di una bella foto per i social, magari a testa in giù in un prato di amanita muscaria (con riferimento alla celeberrima installazione Synchro System di Carsten Höller, situata nella Torre).

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Eppure, proprio questo allestimento meno pop ed accattivante, fa sorgere un dibattito intellettuale che tocca i temi più disparati non solo dell’arte, ma anche della contemporaneità. «Questa mostra racconta – afferma Settis – come l’antichità è in grado di ritornare, riciclata, in epoche successive grazie alla sua estrema chiarezza». È quello che si può dire del resto anche dell’alta letteratura, che dura nel tempo proprio in quanto portatrice di un messaggio di validità universale.

Il restauro nella storia dell’arte

La mostra apre anche una finestra su un secolare dibattito, ossia quello del restauro. Se nell’Ottocento lo scopo del restauratore era di “rendere di nuovo bella” un’opera, facendo spesso congetture nelle operazioni di ripristino di un oggetto antico, a partire dal secolo successivo l’approccio cambia. L’opera d’arte non ha più soltanto una funzione estetica, ma costituisce a tutti gli effetti un manufatto storico. Questo approccio storico-scientifico costituisce ancora uno dei capisaldi dell’etica della conservazione artistica. Non solo: sembra scontato, nella morale di cultori e profani dell’arte, considerare quella del restauro critico come l’unica via possibile. Tuttavia, in Recycling Beauty gli stessi critici e profani, trovandosi (a bocca aperta) di fronte ad alcuni manufatti frutto di manipolazioni artistiche operate a distanza di secoli, per un attimo potrebbero abbandonare le loro convinzioni. È il caso della statua di Minerva proveniente dal Louvre di Parigi. Il corpo bianco di marmo della dea, in contrasto con i drappeggi in onice dorato dell’abito, danno a questa statua un aspetto unico. Tuttavia, l’opera non sarebbe mai potuta esistere senza il “riciclo” del corpo in onice datato II secolo a. C. della dea Era, a cui nel XVIII furono aggiunti gli arti e la testa di Minerva. Lo stesso reperto del II secolo era peraltro una copia romana di una statua greca ben più antica: ecco che il concetto di restauro si avvicina ancor più ironicamente allo slogan del riciclaggio per cui «nulla nasce, nulla muore, tutto si trasforma».

Briciole di Bellezza

La questione, del resto, era un problema che in epoche anteriori nemmeno si presentava.

Le immense rovine di Roma si ridussero nel giro di poche generazioni a passive cave di materiali da costruzione […] ma la progressiva riduzione del corpus decorativo dell’antichità spingeva a tesaurizzare quel che ne restava, i suoi residui.

 E così ora, raccogliendo le briciole di un passato che generazioni prima di noi hanno cancellato e riutilizzato, esponiamo in ampie sale di musei piccoli fregi greco-romani di immensi complessi architettonici ormai inesistenti. Eppure, in questo processo di raccolta e conservazione di “dati” storici, è ancora presente la ricerca di quel Bello ormai perduto, come il ciondolo di un’antenata conservato per generazioni. Gli avi come i colossi del passato hanno lasciato solo piccole tracce della loro esistenza, che noi gelosamente custodiamo mentre loro si fanno polvere.

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Clarissa Virgilio

Studentessa di lingue e letterature europee ed extraeuropee a Milano, classe 2001. Durante gli anni della triennale di lingue, ho seguito un corso presso la NABA sulle pratiche curatoriali. Amo guardare ciò che ha qualcosa da dire, in qualsiasi lingua e forma.

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