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Fare lo storico vuol dire ricordarsi tutte le date?

Con «Le date che fanno la storia», Patrick Boucheron scuote le fondamenta del nostro approccio cronologico. Grazie a una puntuale analisi critica degli eventi, l'autore offre una prospettiva rivoluzionaria sulla storia umana

3 minuti di lettura

Uno storico che inizia a scrivere un libro intitolato Le date che fanno la storia dicendo che ha sempre faticato a ricordare le date e i compleanni ha certamente qualcosa di interessante da raccontarci. Ancora di più se si tratta di Patrick Boucheron, che insegna Storia medievale alla Sorbona di Parigi – è specializzato sul Quattrocento italiano e sui linguaggi del potere – e nel 2009 ha diretto una colossale Histoire du monde au XV siècle. A differenza di troppi suoi corrispondenti italiani, è un intellettuale attivo nella società, che prende parte a dibattiti contemporanei e non ha esitato a schierarsi nettamente su tematiche di attualità e di storiografia.

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Anche nel suo Le date che fanno la storia uscito in Italia per Laterza lo scorso ottobre 2023 (con la traduzione di Alessandro Manna, rispettosa dell’elaborata prosa originale), spiega le decisioni innovative che stanno dietro alla stesura del libro, ispirato da un programma televisivo dello stesso autore di nome Quand l’histoire fait dates (trasmesso sul canale francese Arte tra il 2017 e il 2020): la curiosità e il tentativo di regalare ai lettori il piacere della scoperta che lui stesso ha provato lavorandoci, obbligandosi a scendere dal piedistallo su cui tanti storici si ergono a far sentire il tono imperioso di colui che fa calare la sua autorità sul corso della storia.

L’opera smonta e rimonta il gioco delle date imparate a scuola a tutti i costi, secondo un’impostazione da cui non riusciamo ancora a liberarci: tanti vani sforzi storiografici dell’ultimo secolo, fin dai tempi di Bloch, hanno provato a remare in una direzione diversa da quella della ricerca spasmodica di un evento significativo per definire un’epoca. L’autore ne ha accuratamente selezionati trenta per ricombinarli in modo solo apparentemente forzato, del tutto slegato dall’ordine cronologico.

Proprio dalla “data senza eventi” per eccellenza, l’Anno Mille, parte la rassegna di eventi con cui Boucheron vuole aprire le porte della nostra immaginazione esbrogliare la storia“, uscendo dalla trappola della semplificazione di cui lo studio mnemonico degli eventi è il primo diabolico strumento. Se da una parte è vero che la data crea l’evento, rendendolo storico, dall’altra non ci si può limitare a riordinare gli eventi o collocarli nel tempo; al contrario fare storia è collezionare dei problemi, e l’autore si pone esattamente in questa prospettiva, proponendo narrazioni criticamente collocate nel loro e nel nostro tempo.

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Le date proposte non sono infatti riordinate secondo un ordine cronologico, ma in base  al tipo di problematiche che possono evocare e alle domande che uno storico si pone di fronte ad esse, generando titoli evocativi per ognuno dei dieci capitoli: Anni rotondi, anni zero ci racconta del fantomatico Anno Mille, della morte di Cristo e dell’Egira, Fondazioni e rifondazioni parla della fondazione di Roma ma anche della liberazione di Nelson Mandela, Quel che la storia avrebbe potuto essere di momenti cruciali come la caduta di Costantinopoli e la primavera dei popoli del 1848, e così via. Minuscoli fili legano date ed eventi, non più evocandoli in un elenco cronologico ma riflettendo su ciò che li accomuna e su quanto la storia sia costellata di eventi decisivi, in cui un minuscolo dettaglio differente avrebbe potuto trasformare il percorso dell’umanità; ma allo stesso tempo questi eventi sono dei marcatori che gli storici scelgono come momenti decisivi in mezzo a giornate che ai contemporanei sembravano addirittura noiose. Questo atteggiamento permette di porre in prospettiva la storia umana senza le gerarchie a cui siamo abituati: ai fini dell’autore, il pellegrinaggio di Mansa Musa del 1324, poco noto ai profani di Africa medievale, ha la stessa importanza del viaggio di Colombo nel 1492, che nella storiografia tradizionale segna l’inizio dell’età moderna.

Allo stesso modo si percepisce lo sforzo di scrivere un libro il più globale possibile, spaziando non solo in senso cronologico, ma anche geografico: nelle cartine di inizio libro ci rendiamo conto di quanto ancora la maggioranza degli eventi (la metà) riguardi direttamente la storia europea, ma dobbiamo riconoscere che una ventina d’anni fa sarebbero stati la totalità, lasciando poco spazio al resto del mondo. L’intento dichiarato è quello di mettersi in gioco, provando a uscire da un eccessivo specialismo che l’autore stesso riconosce essere uno dei problemi della comunità degli storici e di cui lui stesso non è riuscito a liberarsi completamente in alcuni passaggi del libro.

Boucheron corre in bilico ma rimane in equilibrio, senza scadere nel romanticismo per le date di cui sono ancora imbevute tante opere e dando prova di profonda sensibilità. Concetti che sembrano basilari, ma per nulla scontati, che ci si auspica entrino presto non solo nella storiografia accademica e divulgativa, ma anche nei programmi scolastici, che per la storia prevedono una ripetizione di concetti ordinati cronologicamente, di cui è raro che rimanga qualcosa nella mente degli studenti. È inutile saper riordinare gli eventi se non si comprende in che percorso si innestino e che ruolo abbiano nel cammino della storia.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole e di pace. Sono specializzato in storia medievale, insegno lettere alle medie. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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