Nella quotidianità e nella contingenza della vita di tutti i giorni, sembra non esserci niente di così vicino all’uomo quanto la bellezza. Il reame del “bello” e del gusto sembrano in qualche modo catturare ciò che vi è di peculiare in quello che appunto chiamiamo “uomo”. Ma avvicinarsi al regno del “bello” e quindi degli studi estetici non è così facile, e la comune domanda su cosa sia bello potrebbe condurre verso sentieri pericolosi. È importante chiarire sin da subito quale sia l’interrogativo che ha mosso queste pagine: il concetto di bellezza è qualcosa che il mondo esterno, la realtà, la Natura, possedeva già, o piuttosto qualcosa che è stato prodotto ed è potuto crescere nello spirito di noi esseri umani? In altre parole, se la bellezza, concetto così seducente e profondo, è qualcosa ‘creato’ dagli umani o al contrario è stato ‘trovato’ nel mondo. Sull’indipendenza o meno della bellezza. Questo è il dilemma che ha dato vita ai pensieri ivi contenuti, ed è la questione a cui si proverà di rispondere. C’è una tendenza molto comune a trattare il concetto di bellezza, e quindi il regno dell’Estetica, come qualcosa che sia già posseduto dalla realtà. Uno dei moventi può essere il fatto che non siamo coscienti del nostro potere creativo, il che significa che non riconosciamo noi stessi come creature che possono dar vita a tali ‘cose’. La posizione argomentata in questo breve articolo è che in verità siamo capaci non solo di creare oggetti e strumenti materiali, ma anzi, con maggior ferocia, siamo capaci di modellare, produrre, creare visioni ed inclinazioni, di matrice elevatissima. In particolare, che siamo fautori di ciò che viene chiamata disposizione estetica, o in maniera più colloquiale gusto.
Schiller, Natura, e condizione estetica
Bisogna tenere a mente che non è la bellezza che ha permesso di essere percepita, ma piuttosto il contrario: noi abbiamo permesso alla bellezza di sorgere nel nostro piccolo mondo, di crescere nel nostro spirito e nella nostra coscienza. Gli esseri umani possono plasmare la loro vista, le loro impressioni e la natura delle loro esperienze per creare una visione, e quindi per produrre inclinazioni come quella alla bellezza. La condizione estetica dell’uomo non è semplicemente un normale stato e una capacità di adattamento, ma è un modo specifico di vedere le cose e la realtà in toto. Risulterà utile evidenziare il pensiero sull’Estetica e la bellezza di uno dei più importanti pensatori del Diciottesimo secolo, cioè Friedrich Schiller. Nel suo saggio intitolato Lettere sulla educazione estetica dell’uomo, Friedrich Schiller ha cercato di tracciare la storia dell’autentica libertà umana nella riappropriazione estetica della natura sensibile. Ma noi ci concentreremo esattamente sulla lettera ventisei, dove l’autore trattiene e delinea le radici del senso estetico nell’uomo. Per comprendere un problema complesso come questo, dovremo riferirci direttamente alle parole del nostro autore evitando così qualsiasi tipo di equivoco. Nella lettera menzionata, Friedrich Schiller scrive:
Non appena egli [l’uomo] comincia a godere con l’occhio, e il vedere acquista per lui un valore assoluto, egli è già esteticamente libero anche, e l’impulso ludico si è sviluppato[1].
La citazione sembra porre una connessione tra la condizione estetica e l’impulso ludico, tra la tendenza al bello e la nozione di gioco. Riguardo la condizione estetica, Schiller, nel suo scritto è chiaro sulla sua provenienza: la Natura ci ha donato tale condizione. Deve essere un dono della Natura. Seguendo questa affermazione, alcune contraddizioni appaiono implicite. Si sta cercando di sostenere che l’Estetica e quindi la disposizione alla bellezza è qualcosa di ‘creato’ dagli esseri umani, e ora questa affermazione dà l’impressione, al contrario, che sia un dono della Natura. Come potrebbe la bellezza essere qualcosa ‘creato’ da noi esseri umani se allo stesso tempo è un dono proveniente dalla Natura? Ecco perché bisogna chiarire due punti importanti: cosa intende Friedrich Schiller con Natura, e cosa intende con l’affermazione che la condizione estetica deve essere un dono della Natura. Quando il nostro autore utilizza questo ampio concetto chiamato Natura, egli intende solo l’ambiente che ci circonda, dove viviamo e dove tutto ha avuto ed ha luogo; ciò che viene sottolineato è soltanto il fatto che esso implica tutte le forme della Natura: montagne, fiumi, oceani, colline e la connessione che tra loro creano i diversi paesaggi. La natura c’era prima dell’umanità, è lo sfondo della vita umana fin dall’inizio. Ora, illuminando il secondo punto, che interessa proprio la nostra analisi, quando il pensatore tedesco afferma che la nostra condizione estetica è un dono della Natura, non si può credere banalmente che voglia affermare che la bellezza sia qualcosa di già posseduto dalla realtà, qualcosa di separato da noi, che raggiungiamo e scopriamo. Ma piuttosto, che la Natura stessa ci ha donato la possibilità di creare un determinato stato chiamato condizione estetica. La Natura ci ha offerto il terreno per costruire le nostre categorie estetiche, il nostro gusto. Forse, un parallelo potrebbe essere utile per capire meglio: si dovrebbe pensare alla Natura non come a una galleria d’arte, dove non abbiamo potere d’azione, in quanto meri osservatori, ma dovremmo pensarla più come ad un laboratorio ricolmo di qualsiasi tipo di strumenti, dove siamo liberi di ‘creare’ qualsiasi cosa si voglia.
Piacere dell’apparenza e impulso ludico
In qualche modo, si stanno stabilendo le circostanze della nascita della condizione estetica all’interno dell’uomo e, seguendo il pensiero di Schiller, dobbiamo rispondere al problema di come tale ‘nascita’ sia potuta accadere. Attraverso quale tipo di processo l’uomo ha acquisito la capacità, la volontà, di creare la sua visione estetica? Come scrive Schiller stesso:
Che tipo di fenomeno è quello che proclama l’avvicinamento del selvaggio all’umanità? Per quanto possiamo consultare la storia, è lo stesso in tutte le razze che sono sfuggite alla schiavitù dello stato animale: un piacere dell’apparenza, una disposizione all’ornamento e al gioco[2].
Qui, si rintraccia una categoria estetica che risulta molto importante all’interno dell’opera di Friedrich Schiller: la categoria dell’apparenza. Ciò che è peculiare nello studio di Schiller sull’apparenza è un particolare legame che egli stabilisce tra questa categoria e la condizione estetica umana. Ma dobbiamo essere prudenti e procedere per gradi. Potremmo dire che l’apparenza è il contrario di ciò che chiamiamo realtà tangibile, e mentre la realtà potrebbe essere un’aderenza all’attualità, l’apparenza è, invece, indifferenza verso la realtà, come dice Schiller:
L’indifferenza verso la realtà e l’interesse per l’apparenza sono un vero ampliamento dell’umanità e un passo decisivo verso la cultura[3].
Così, l’apparenza sembra essere una sorta di atteggiamento in cui l’uomo può dimenticare la realtà. Piuttosto che occuparsi della ‘materia’ ed essere soggetto al mondo esterno, come la realtà impone, l’apparenza gestisce qualcosa di diverso, questa è:
Anche la prova di una libertà interna, […] indipendentemente da qualsiasi materiale esterno, e possiede un’energia sufficiente per respingere la pressione della materia[4].
Muovendo dall’apparenza e attraverso l’apparenza, l’uomo ottiene il potere per plasmare la proprio prospettiva. Citando ancora Schiller:
La realtà delle cose è opera delle cose; l’apparenza delle cose è opera dell’uomo, e una natura che si diletta nell’apparenza non prova più piacere in ciò che riceve, ma in ciò che fa[5].
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Tralasciando il dualismo metafisico implicito in tale affermazione, non si può fraintendere ciò che si nasconde sotto queste parole. Quando gli uomini si dilettano con l’apparenza, stanno ‘creando’ qualcosa, stanno traendo piacere dal processo di produzione e dalla volontà di comporre. È anche ovvio che qui il nostro autore si riferisce a un tipo specifico di apparenza, cioè l’apparenza estetica, che normalmente viene confusa con l’apparenza logica, ma non lo è. L’apparenza estetica, secondo il pensiero di Schiller, è l’unica apparenza che implica il gioco, e questa è la sua caratteristica più rilevante. Il ruolo del concetto di gioco è fondamentale nel nostro discorso: sembra che nella sua ‘essenza’, l’Estetica, l’apparenza, è gioco. Come evidenzia il nostro autore nel suo saggio, per essere in un puro stato estetico, l’uomo deve bandire la Verità e la realtà dalla sua esperienza, esse sono irrilevanti per la condizione estetica che vuole creare, produrre. “Giocare” significa esattamente liberarsi della Verità e della realtà, e il coinvolgimento del gioco è ciò che fa la differenza tra il termine apparenza (nel suo uso quotidiano) e l’apparenza estetica. Con l’introduzione del concetto di gioco, Schiller vuole evidenziare il legame tra la percezione del ‘bello’, un senso di libertà, e un’attitudine al raziocinio. A differenza della condizione infantile dove i bambini giocano ma senza alcuna forma di ragione, un adulto maturo durante un’esperienza estetica ‘gioca’ razionalmente con le cose che lo circondano.
Allo stesso modo in cui l’impulso ludico si attiva in lui, e trova piacere nell’apparenza, segue anche l’impulso creativo imitativo che tratta l’apparenza come qualcosa di assoluto[6].
Quando Schiller utilizza le parole “impulso creativo imitativo” intende l’atto di creare bellezza, il processo che genera l’istinto alla bello, la produzione di questa nuova prospettiva che chiamiamo giudizio estetico, o disposizione alla bellezza. Implicita a tali pensieri è un’affermazione significativa del nostro autore:
Ogni apparenza proviene originariamente dall’uomo, in quanto soggetto percipiente[7].
Quindi, si può assumere che la condizione estetica e la disposizione alla bellezza è qualcosa di più di una categoria o di un semplice dominio. È qualcosa legato al nostro modo di vedere il mondo, ma soprattutto è qualcosa che abbiamo creato per noi, che deriva da noi. Abbiamo lavorato con gli strumenti che la Natura ci ha donato: dalla normale apparenza, abbiamo plasmato la nostra visione propriamente umana, cioè l’apparenza estetica.
Ma perché consideriamo tale condizione, così ampia e profonda come la “bellezza”, una conquista umana? Una risposta, di nuovo, può essere rintracciata nelle pagine che abbiamo preso in esame:
Egli [l’uomo] si avvale del suo diritto assoluto di proprietà solo quando separa l’apparenza dall’essenza e la dispone secondo le sue leggi[8].
Ancora:
Egli [l’uomo] esercita questo diritto umano di sovranità nell’arte dell’apparenza[9].
L’uomo sembra voler dominare su ciò che ha creato. Caratteristica dell’uomo è quella di porre un ‘marchio’ sulle proprie creazioni, deve rivendicare il diritto di proprietà sulla bellezza. L’uomo è la causa della bellezza nel mondo e ne è la fonte perché ha sempre desiderato essere il dominatore, invece di essere soggetto alle leggi della Natura. Ha inventato, ha creato il suo codice, la sua prospettiva, solo per se stesso. Ma i frutti di questo breve viaggio all’interno del pensiero di Schiller sull’Estetica e sulla bellezza possono risultare comprensibili soltanto a chi, dopo aver seguito il percorso intrapreso, è cosciente del fatto che una realtà ontologicamente (ed in questo caso esteticamente) indipendente dal soggetto che la abita non può esistere e che perciò la bellezza non si “trova” nel mondo e nelle cose, ma al contrario risulta un dono stesso del soggetto. La bellezza non è un caso. L’uomo crede il mondo stesso sovraccarico di bellezza, dimentica di essere egli stesso la causa.
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[1] Friedrich Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, 26th letter
[2] Ivi 26th letter
[3] Ivi 26th letter
[4] Ivi 26th letter
[5] Ivi 26th letter.
[6] Ivi 26th letter
[7] Ivi 26th letter
[8] Ivi 26th letter
[9] Ivi 26th letter.