«Di Giovanni il Re tra un millennio e più ancora si parlerà, non certo per le sue virtù né per la sua bontà: fenomeno di incapacità nei libri di storia lui sarà» erano alcuni dei versi cantati dai personaggi della celebre opera animata Robin Hood, firmata dalla casa cinematografica di Walt Disney nel 1973 in merito all’antagonista: il malvagio ed avido Re Giovanni. Quest’immagine è solamente una delle tante rappresentazioni negative attraverso cui questo sovrano è rimasto fissato nell’immaginario comune come uno dei peggiori esempi di incapacità governativa e empietà nella storia.
Già intorno alla metà del 1200, nella sua celebre opera Historia Anglorum, uno dei più importanti cronisti inglesi, il monaco Mattew Paris aveva sentenziato aspramente che «malvagio come era, l’Inferno stesso era saturo di Giovanni».
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Nel 1603 nell’opera drammatica Life and Death of King John, Shakespeare portò in scena un personaggio tormentato dalle sue debolezze e incline alla violenza. Dalla storiografia alla letteratura, fino alle varie versioni cinematografiche l’idea condivisa è quella di un tiranno folle, interessato solo a salassare il popolo con pagamenti onerosi per riempire le casse del governo vuote a causa della sua avarizia. Gli storici hanno dibattuto a lungo per cercare di comprendere il peso che ebbero le sue azioni e questa personalità all’interno della politica inglese ed internazionale dell’epoca.
Chi era Re Giovanni Senzaterra?
Giovanni nacque intorno al 1166 ed era l’ultimo figlio di Enrico II, re d’Inghilterra, e di Alienor d’Aquitania. Fu chiaro fin dall’inizio che, come l’ultimogenito, Giovanni si trovava in una posizione svantaggiata e sembrava assolutamente impossibile avere un ruolo preminente in una famiglia così potente e grande. Come quarto figlio in linea di successione non era nemmeno previsto che ereditasse alcun territorio, da cui derivò dunque l’appellativo Senzaterra con cui la storia ce lo ha tramandato.
Tuttavia una serie di circostanze a lui favorevoli, come la ribellione dei fratelli maggiori Enrico il Giovane, Goffredo di Bretagna e Riccardo Cuor di Leone, prima lo resero il prediletto del padre Enrico II, che come pegno per la sua fedeltà lo ricompensò dell’Irlanda, e poi gli fecero ereditare nel 1199 la corona inglese alla morte del terzo fratello. Riccardo Cuor di Leone era morto prematuramente senza lasciare eredi; sebbene i suoi consiglieri fossero consapevoli della natura inadatta a governare di Giovanni, la sua pretesa di salire al trono di fatto era legittima.
Uno delle motivazioni per cui la sua cattiva fama fu consolidata già tra i contemporanei sembra essere dovuta alla mancanza di scrupoli con cui ordì la morte del giovane nipote Arturo di Bretagna. Il ragazzo gli si era contrapposto, rivendicando la sua legittimità al trono inglese, sostenuto anche dal sovrano francese Filippo Augusto. Le fonti ritengono improbabile che Giovanni Plantageneto lo avesse ucciso con le sue stesse mani, ma sono concordi in merito al fatto che ne abbia ordinato l’esecuzione. Agli occhi dei sovrani che avevano sostenuto Arturo, dunque Giovanni era un usurpatore, pertanto un falso re (phoney).
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Un altro degli appellativi più famosi con cui è conosciuto Re Giovanni Senzaterra è Softsword, per le sue limitate virtù militari. Enrico II e Riccardo, nonostante la loro natura crudele, erano stati anche dei valenti leader militari e ottimi cavalieri: sotto la loro guida il vessillo inglese aveva ottenuto numerose vittorie e protetto i territori, come l’Aquitania e la Normandia. Al contrario Giovanni, ad eccezione di una solo vittoria iniziale quando era appena stato incoronato, non possedeva le stesse virtù militari e le sue campagne belliche si rivelarono un disastro.
Luci e ombre del governo di Giovanni
Nel 1203 perse il controllo della Normandia e per recuperarla svuotò le casse dello Stato nel vano tentativo di riportarla sotto il suo controllo. Non solo, la rete di preziose alleanze e lealtà che sua madre Alienor e il fratello Riccardo avevano costruito in Aquitania si sbriciolarono a causa dell’incapacità di Re Giovanni di mantenere i rapporti diplomatici, portando dopo svariate offese i baroni a ribellarsi contro il sovrano. Per recuperare questi possedimenti Giovanni fu costretto a spendere enormi capitali e senza ottenere alcuna vittoria.
In patria inoltre non ispirava fiducia: i cronisti contemporanei hanno speso numerose parole in merito alla sua spiacevole mancanza di contegno, come un’ombra sulla corona, al contrario della luminosità dettata dallo spirito di cavalleria di Riccardo. Sicuramente Giovanni condivideva con Enrico II e Riccardo l’inclinazione alla crudeltà, ma a differenza loro, sembra fosse debole, insicuro, paranoico e sleale. Non era un sovrano particolarmente disposto alla magnanimità e la sua attenzione per la magnificenza è passata alla storia.
Diversamente dal padre e dal fratello, Giovanni era molto interessato all’amministrazione della giustizia e alla legge. Egli prese seriamente il suo ruolo di amministratore della giustizia, viaggiando attraverso il regno senza riposo e partecipando ai tribunali locali che lo chiamavano a dirimere le cause. Se da una parte il suo coinvolgimento nella politica del regno può essere considerato uno dei pochi meriti come regnante, dall’altro lato bisogna considerare l’interesse che ne derivava dalla partecipazione alle dispute locali. Infatti la possibilità di intervenire direttamente era un vantaggio commerciale, poiché tassando a sua discrezione e vendendo al migliore offerente la giustizia poteva recuperare il denaro che era stato sperperato nelle disastrose battaglie oltremanica.
A livello capillare il controllo e la riscossione delle tasse sul territorio erano affidati agli sceriffi, alcuni famosi per la loro durezza, come per esempio il celebre Sceriffo di Nottingham, acerrimo nemico del buon fuorilegge Robin Hood. Dopo il 1206 la necessità di raccogliere soldi per pagare le truppe impegnate in Francia nelle guerre di conquista dei territori persi si fece molto forte. Arrivò ad imporre tassazioni dirette in particolare sui baroni, generando malcontento e cominciando a far crescere le tensioni.
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Un altro motivo di scontento internazionale è dovuto al suo tentativo di comandare la Chiesa Inglese. La manovra più forte fu quello di contrastare la candidatura dell’arcivescovo di Canterbury, promuovendo un uomo fidato, John de Grey, ed andando contro la scelta papale che designava nella posizione Stephen Langton. Queste posizioni incrinarono i rapporti con la Chiesa inglese e con papa Innocenzo III, che emise un interdetto sull’intera Inghilterra, mettendo in pausa la vita spirituale del regno. Ciò segnò l’inizio del braccio di ferro tra Innocenzo III e Re Giovanni, il quale reagì tassando più duramente il clero, ma finì nel 1209 con la sua scomunica. Queste erano solo le colpe pubbliche, poiché, secondo alcuni commentatori, Giovanni nel privato si faceva beffe della religione con toni e battute di spirito al limite della blasfemia.
Tutte queste tensioni tra il sovrano, il clero e i baroni con il tempo finirono per accumularsi, portando nel 1215 allo scoppio delle guerre baronali, che si conclusero temporaneamente con la firma della prima Magna Charta. La storiografia più recente ha ripreso in mano l’analisi di questo periodo, cercando di capire se sia stato solo il peso delle azioni di Giovanni Plantageneto a condurre ad una delle peggiori crisi della storia inglese. Di fatto gli storici, oggigiorno, lo assolvono in parte, ritenendo che la situazione fosse solo l’apice di una cattiva gestione del potere che si trascinava da molti anni.
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Re Giovanni a questo punto, per quanto inadatto alla posizione, di fatto avrebbe ricevuto in eredità uno stato già fortemente in difficoltà, in particolare economicamente. L’immagine demoniaca e di pessimo sovrano a cui viene associato non era poi così diversa dal fratello Riccardo e dal padre Enrico, con la sola differenza che i loro fallimenti sembrerebbero essere stati perdonati in virtù delle loro vittorie militari, cosa impossibile per Giovanni.
La sua colpa, rivalutando e leggendo le fonti, in ultima analisi, sarebbe quella di un re che si trovò a gestire una serie di tensioni tra sovranità, alleanze internazionali e Chiesa, senza la dovuta preparazione, lungimiranza e saggezza. Al di là della sua reale incapacità, l’analisi più ottimista sembra scagionarlo in virtù del fatto che si trovò ad essere presente quando la ruota della fortuna girò verso il basso per i Plantageneti ed essere quello con l’istinto peggiore nella famiglia per poter reagire a questi eventi sfavorevoli.
Eleonora Fioletti
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