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La ragazza di Trieste

«La ragazza di Trieste» di Pasquale Festa Campanile

dalla newsletter n. 15 - 3/2022 di Frammenti Rivista

2 minuti di lettura

Regista e sceneggiatore tra i più noti della nostra cinematografia, Pasquale Festa Campanile pubblica La ragazza di Trieste all’inizio degli Ottanta, ponendosi nel solco di una letteratura “piana”, ruotante attorno al bisogno di raccontare una storia. Il proposito – già esplicitamente dichiarato ne Il corpo (1972) da un altro maestro “spurio”, Alfredo Todisco – è sostenuto da un tesoro tematico in chiaro disequilibrio rispetto alla partitura stilistica, già concepita come piana e disadorna, pronta a diventare soggetto di film. A un primo sguardo, l’opera si presenta come un appassionato romanzo d’amore, ancora una volta giocato sulla differenza d’età, sulla passione travolgente di un uomo alle soglie dell’età adulta. Difficile assodare se l’accensione d’amore per una ventenne possa rappresentare un dono dal cielo o una dannazione perpetua.

La ragazza di Trieste di Festa Campanile tende a una dimensione ibrida, e lo fa attraverso una serie di richiami alla società consumistica, alla psicoanalisi freudiana, sino a edificare un’opera stratificata, infinitamente più complessa della struttura di partenza. La somma di meditazioni intimistiche, i sotterfugi, le fantasie erotiche, tutto contribuisce a un percorso figurativo che allude al contrasto tra istinto e ragione, tra senso del pudore e costrizioni borghesi. Sullo sfondo di una Trieste livida si consuma una storia di turbamenti e inganni, che il regista traspone sullo schermo affidando a Ben Gazzara e Ornella Muti il ruolo di due protagonisti consumati, persi ciascuno nei propri tormenti.

Dino, disegnatore di fumetti erotici, assomma in sé le contraddizioni di una società anestetizzata, che soffoca gli istinti fino a implodere e corre poi lungo i binari dell’ingestibile, in una masquerade di apparizioni e sparizioni che è il punto di rottura degli schemi, di ogni genere di convenzioni.

“E se la sposassi?” disse Dino.
Marin si schiarì la voce, tentennò, disse che era un rischio per tutti due, che molto dipendeva da lui, Dino, ma che effettivamente… Il professore insomma approvava: sposarsi non cambiava niente ma forse poteva dare a Nicole il senso di stabilità che le era sempre mancato.

Tenta di imbrigliare l’impossibile, Dino, di ricondurre ogni smarginatura a una composizione, a uno schema già noto. Nicole, conosciuta dopo un tentato annegamento, è in questo senso una 

Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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