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Quentin Tarantino e il meta-cinema

6 minuti di lettura

Uno stile ben definito e a tratti ridondante, la capacità di mescolare generi e stili, il citazionismo sfrenato ai limiti del plagio unito ad un dominio totale delle possibilità e specificità del linguaggio cinematografico, fanno di Quentin Tarantino il regista più influente nel panorama del cinema mondiale contemporaneo.

Quentin Tarantino: un’autobiografia

Nato a Knoxville nel 1963, Quentin Tarantino si appassionò al cinema da bambino coltivando inizialmente il sogno di diventare un attore. Nel 1981 entrò a far parte della Theatre Company di James Best poi, per sbarcare il lunario, si impiegò presso un videonoleggio vicino Los Angeles. Lì conobbe Roger Avary, con il quale nacque quel sodalizio artistico e quell’amicizia che dura fino a oggi.

Nel 1986, quando ancora lavorava presso il videonoleggio, Tarantino decise di girare il suo primo film da regista. Tutti i dipendenti del videonoleggio entrarono a far parte del cast e della troupe. Il film, autofinanziato con l’aiuto di tutti i partecipanti, avrebbe dovuto intitolarsi My friend’s best birthday, ma il progetto naufragò dopo qualche anno a causa della parziale distruzione della pellicola girata. Il film è oggi visibile su You Tube.

Sceneggiatore di successo

Per il regista americano di origini italiane il successo giunse grazie alle sue doti di sceneggiatore. Una vita al massimo, scritta insieme a Roger Avary, venne infatti venduta per cinquantamila dollari nel 1988; successivamente Tony Scott ne trarrà il suo film. Negli anni subito seguenti Tarantino scrisse le sceneggiature di Assassini Nati (portata sul grande schermo da Oliver Stone nel 1994) e di Dal tramonto all’alba (poi diretto nel 1995 dal fraterno amico Robert Rodriguez).

Il successo ottenuto dalle sue sceneggiature rese Tarantino molto noto tra i registi e i produttori di Hollywood. Uno di questi, Lawrence Bender, assieme al regista Monte Hellmann, lo incoraggiò e lo aiutò a trovare i fondi per firmare la sua prima regia importante: Le Iene (1992). Il film, accolto calorosamente al Sundance Festival così come a quelli di Montréal e Toronto, mostra per la prima volta i tratti caratterizzanti lo stile di Tarantino, quel vero e proprio marchio di fabbrica che verrà impresso alle opere successive, tra le quali l’insuperato capolavoro Pulp Fiction (1994).

Quentin Tarantino
Le Iene (1992)
da: europapress.es

Tarantino innovatore della narrazione cinematografica

Considerato il corrispettivo cinematografico della letteratura postmoderna e dell’ Avantpop, il cinema di Quentin Tarantino costituisce per certi versi un punto d’arrivo nel percorso della storia del cinema, un’arte che, sullo scorcio del Novecento, da “giovane” diviene “matura” e che, più che ripiegarsi, inizia a riflettere su se stessa, sui suoi meccanismi narrativi e tecnici, sulla sua storia e su quella del costume in generale, citando e autocitandosi.

Tarantino, da una parte, tende a scardinare la ferrea logica del racconto (l’intreccio di storie diverse in Pulp Fiction), dall’altra, sottolinea ed esaspera l’andamento narrativo ( la divisione in capitoli in Le Iene, Pulp Fiction, Kill Bill, ecc…). Egli gioca con i meccanismi della narrazione cinematografica piegandoli alla sue necessità di autore, sempre alla ricerca di un’estetica folgorante fatta di toni pop, ossessioni personali (su tutti il suo noto feticismo dei piedi), violenza iperrealistica, situazioni e movimenti di macchina ricorrenti.

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Quentin Tarantino: lo stile

Tra le soluzioni registiche più frequentemente adottate da Tarantino vi sono il Mexican stand-off (detto anche “triello”, quando tre personaggi si tengono sotto tiro l’un l’altro), il God’s eye pov (inquadratura dall’alto), il 360° shot (movimento circolare della macchina da presa), il Trunk shot (inquadratura dall’interno del bagagliaio della macchina).

Quentin Tarantino
Esempio di God’s eye pov in Kill Bill: volume 1 (2003)
da: pbs.twimg.com

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Sono, però, forse due gli elementi più ricordati (e talvolta osannati) dello stile di Quentin Tarantino: l’ironia e le citazioni. I dialoghi paradossali, che puntellano l’andamento narrativo di tutti i film di Tarantino,  sono in parte ispirati alla verve ironica e grottesca delle opere di Elmore Leonard, scrittore molto amato dal regista.

Per quel che riguarda le citazioni invece, la tendenza a riproporre stilemi, personaggi e battute di film di altri autori, si spiega solo alla luce della passione smodata di Tarantino per il cinema. Egli, da vero e proprio “cinemaniaco”, non esita ad attingere a piene mani dal repertorio “alto” come da quello “basso”, da Godard come da Lucio Fulci.

Il suo film più citazionista è di certo Kill Bill (2003-2004), vera e propria summa delle ossessioni cinefile del regista. Il Nostro cita Sergio Leone, i fratelli Shaw, Fernando Di Leo, George A. Romero e accosta con sapienza filologica e con un pizzico di follia i generi più disparati, dallo spaghetti-western ai chambara movies, dai kung-fu films agli splatter, dalle serie tv ai revenge movies.

Riattraversatore di generi

Il regista di Knoxville non si limita a citare i generi cinematografici più disparati, bensì egli concepisce questi ultimi come modelli narrativi ed estetici cristallizzati dalla tradizione pronti ad essere reinterpretati e mescolati tra loro, usati e reinterpretati. Tarantino riprende l’atmosfera tagliente e spoglia del noir classico stemperandola con l’ironia; ne Le Iene, riscopre il genere della blaxploitation e i suoi idoli (su tutti Pam Grier) in Jackie Brown (1997), oppure affronta generi come il war movie all’italiana nel sorprendente e intelligentissimo Bastardi senza gloria (2009) o ancora il western in Django Unchained (2012).

Tarantino usa la sua manìa cinefila per scandagliare a fondo il repertorio del cinema mondiale, e da questo enorme archivio di storie e immagini trae modelli e materiali con i quali creare il suo personalissimo universo di cellulosa, ironico ed efferato, citazionista ed ultrapop.

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Film della settimana: Pulp fiction di Quentin Tarantino

In questo film quattro storie di vita criminale che si intrecciano:
1) Due rapinatori (Tim Roth e Amanda Plummer) sono in procinto di svuotare la cassa di un locale. 
2) Due killers, Vincent (John Travolta) e Jules (Samuel L. Jackson), al soldo del boss Marsellus Wallace (Ving Rhames), recuperano una preziosa valigetta, ripuliscono dal sangue la loro auto grazie all’aiuto del Sig. Wolf (Harvey Keitel) per poi andare a fare colazione proprio nel locale dove i due rapinatori stanno facendo il colpo.
3) Vincent deve portare a ballare Mia (Uma Thurman), la pupa di Marsellus. Un incidente con la droga renderà la loro serata davvero movimentata. 
4) Butch (Bruce Willis), un pugile a fine carriera, uccide sul ring il suo avversario invece di andare al tappeto in un incontro truccato. Cerca quindi di fuggire da Marsellus ma finirà insieme a lui nelle mani di due sadici: riusciranno a liberarsi?

Il termine Pulp Fiction” si riferisce ad un genere di riviste a basso prezzo, molto popolari negli anni 40’ e 50’ in USA, la cui carta era realizzata dalla polpa dell’albero (da cui “pulp”) e quindi di qualità scadente. Queste riviste erano piene di storie e immagini violente e talora oscene, esibivano spesso in copertina scene raccapriccianti o donnine seminude.

Pulp Fiction significa dunque narrazione “sporca, brutta e cattiva”, esibizione compiaciuta di iperviolenza fumettistica ed estetizzante, racconto frammentato e sempre sopra le righe. Tutto questo materiale viene elevato da Tarantino per dare forma ad un film sfacciato, ma assolutamente perfetto in tutte le sue parti che costituisce ad oggi un punto di riferimento imprescindibile per comprendere certi aspetti del cinema contemporaneo.

In questo «perfetto gioco di incastri» (Mereghetti) la scrittura di Tarantino finisce per esaltare le prove d’attore, dal talento mattatoriale di Samuel L. Jackson all’allora esordiente Uma Thurman e ad un ritrovato John Travolta. Memorabile la scena del ballo tra i due, sulle note di You never can tell di Chuck Berry. Forse il personaggio che stuzzica di più la fantasia dello spettatore e che si imprime meglio nella sua memoria è quello di Mr. Wolf, signore efficientissimo e brillante che “risolve problemi”.

Quentin Tarantino
da gqitalia.it

Il mistero della valigetta

E’ diventato inoltre oggetto di discussione sul web tra i fan e oggetto di riflessione in sede critica il valore simbolico o narrativo che avrebbe la valigetta che Vincent e Jules vanno a recuperare. Nel film, nulla viene spiegato riguardo a questa valigetta. Ciò che viene mostrato è l’espressione stupita ed estatica che assume chi si trova a guardare al suo interno. La combinazione per aprirla è 666, il “numero della Bestia”.

da: nonsonsolofilm.it

Tra le diverse ipotesi quella avanzata da Susan Fraiman secondo la quale la valigetta conterrebbe «un universale interiorità maschile», o quella secondo cui vi sarebbe custodita l’essenza stessa della violenza. Alcuni critici, invece, vedono nella valigetta dal contenuto luminoso soltanto una citazione da Un bacio e una pistola (1955) e da I predatori dell’arca perduta (1981).

Secondo quanto dichiarato da Tarantino si tratterebbe semplicemente di un MacGuffin, ovvero un espediente narrativo usato anche da Hitchcock: un oggetto che riveste un’importanza cruciale per i personaggi del film ma che, non avendo un reale significato per lo spettatore, ha il solo scopo di spingerlo a porsi degli interrogativi.

Riconoscimenti e premi

Ottima la fotografia di Andrzej Sekula, tutta tesa a valorizzare la saturazione delle tinte pop della scenografia; bella e divertente la colonna sonora (scelta accuratamente da Tarantino stesso) tra rock’n roll, blues e rock classico anni 70’, che fa da perfetto contraltare a quel mix scoppiettante di violenza e ironia che caratterizza il film.

Palma d’oro a Cannes nel 1994 e Oscar per la migliore sceneggiatura originale.

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Giuseppe Alletto

Giuseppe Alletto (Palermo, 13 Ottobre 1990), pittore, vive e opera a Bagheria, in provincia di Palermo. Dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti, frequenta il corso di Storia dell’Arte presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo.
Ha tenuto le prime due mostre personali nel Dicembre 2008 e nel Maggio 2010 presso la sede della Biblioteca Comunale di Bagheria “Palazzo Aragona-Cutò”.
Nel Gennaio del 2013 ha tenuto una mostra personale presso il Polo Didattico dell’Università degli Studi di Palermo.
Nell’Ottobre del 2014 si è svolta una sua mostra personale dal titolo “VOCI dell’OLTRE”
presso la galleria “XXS apertoalcontemporaneo” di Palermo, a cura di Salvo Ferlito.

Ha partecipato a mostre collettive presso la galleria La Spadarina di Piacenza, Palacongressi di Agrigento, galleria “Il Trittico”di Roma, galleria Am Art di Bruxelles, Mondadori Multicenter di Palermo, galerie “Le Patio” di Cannes, Università degli Studi di Catania, Cappella “De Sleutelbrug" di Bruges, galleria Villa Casaurro di Bagheria, Kunstlerforum di Bonn, galleria “A Sud arte contemporanea” di Realmonte , galleria “Il Nuovo Cenacolo” di Palermo, Basilica SS. Apostoli di Roma, Museo Cerio di Capri, Palazzo Butera di Bagheria, Villa Malfitano-Whitaker di Palermo, Castello della contessa Adelaide in Val di Susa in occasione del Valsusa Film Festival, Museo MIIT di Torino, galleria Thuillier di Parigi, galleria Bobez di Palermo, Museo Civico “G.Sciortino” di Monreale, Bellange Gallery di Stoccolma, Castello Chiaramontano di Racalmuto, Galleria “Katané” di Catania, Palazzo Stella di Genova.

E’ presente sul numero di Marzo 2010 della rivista “ARTE Mondadori” e sul volume “Tra Forma e Figura” curato da Paolo Levi. Ha pubblicato le sue opere sulla rivista bimestrale “Effetto Arte” e sulla rivista “Arte Shop Magazine”. E' stato in copertina nel primo numero della nuova rivista "OverArt".
Sue opere fanno parte del corredo iconografico di volumi di poesia e saggistica di diversi autori.
Si sono interessati alla sua attività testate giornalistiche come “Il Giornale di Sicilia”, “Balarm”, “La Sicilia” e emittenti televisive come “Tele One” e “RAI 3 Sicilia”.

E’il vincitore dell’edizione del 2012 del premio Satura, per la sezione giovani.
E’ Socio Onorario dell’Accademia Internazionale Vesuviana di Napoli.
Una sua opera è entrata a far parte della collezione della Fondazione “Thule Cultura” di Palermo, che ospita opere di artisti quali Accardi, Caruso, Guccione, Munari, Provino.

Scrive articoli su Cultura, Arte e Cinema per riviste e blogs come “Il Settimanale di Bagheria” (Bagheria), “Cinema Sperimentale” (Palermo), “D’Ars” (Milano),
Espoarte (Savona), “Art / Texts / Pics” (Milano), “RivistaSegno” (Pescara), “ArtsLife” (Milano), “Juliet Art Magazine” (Trieste), “Il Fascino degli intellettuali” (Milano), “LoboDiLattice” (Milano).
Nel Dicembre 2013 è stato tra i relatori, con un intervento sul rapporto tra pittura e letteratura, nell’ambito della presentazione del nuovo saggio di Marco Scalabrino sugli autori siciliani contemporanei, svoltasi presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani.
E' in copertina nel numero di settembre 2012 della rivista "Arte Shop Magazine" e all'interno si trova un articolo redatto dall'artista stesso su alcuni temi relativi all’arte contemporanea.
Un suo breve saggio sui martirii e le esecuzioni capitali nella storia dell’Arte è stato inserito nel volume di prossima pubblicazione sul culto dei Decollati a Palermo e sulla pena di morte, a cura di Rita Cedrini e Marilena Volpes.

Si sono interessati alla sua opera pittorica, tra i tanti: Paolo Levi, Fiorenzo Carella, Piero Longo, Giovanni Lo Castro, Lia Ciatto, Salvo Ferlito, Alessandro Madonia, Salvatore Maurici, Franca Alaimo, Rita Pengo, Pippo Oddo, Francesco Mineo, Lina Maria Ugolini, Maria Patrizia Allotta, Enzo Buttitta, Marco Scalabrino, Maria Antonietta La Barbera, Alfonso Leto, Gianmario Lucini, Elio Giunta, Tommaso Romano, Arrigo Musti, Vito Mauro, Rossella Cerniglia, Salvatore Di Marco, Giuseppe Fumìa, Tommaso Serra, Nicola Romano, Riccardo Melotti, Ester Monachino, Gaetano Lo Manto, Maria Teresa Prestigiacomo, Flora Buttitta, Elisa Bergamino, Dante Cerilli .

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