La storia della pittura occidentale è piena di rappresentazioni di nudi femminili che spesso, secondo la convenzione, soprattutto quando la figura è sdraiata, tengono un braccio teso verso il pube a coprire le parti intime con la mano. Si tratta di un espediente quantomai ricorrente, usato dagli autori per nascondere una parte “proibita” del corpo, un surrogato, per così dire, della tradizionale foglia di fico. Ma dietro questa lettura ufficiale, è inevitabile coglierne un’altra meno ortodossa e più… maliziosa. Lettura che col cambiare dei tempi e dei costumi ha cominciato poi a diventare preponderante.
È proprio questo che riguarda una parte della produzione artistica di Auguste Rodin (1840-1917), che nel corso della sua carriera realizza circa diecimila disegni “a luci rosse” in cui ritrae le sue modelle impegnate in scene di autoerotismo: è quasi un’ossessione, quella dell’artista, per la mano femminile che indugia “proprio lì”, da osservare però nel contesto più ampio di una ricerca lunga tutta una vita attraverso i segreti dell’universo femminile.
A folgorarlo sono le letture di Baudelaire e Flaubert, insieme con le illustrazioni erotiche giapponesi mostrategli dall’amico e critico letterario Edmond de Goncourt, che gli apre un universo sulle rappresentazioni provenienti dal lontano oriente di corpi abbandonati al piacere, incuranti dello sguardo dello spettatore. Ed è proprio questa autenticità che Rodin vuole riprodurre: non c’è niente di falso nelle donne che ritrae, modelle a cui viene davvero chiesto di non fingere proprio per permettere al pittore di ritrarre, con un tratto tremolante e “nevrotico”, l’atto in tutta la sua sensualità.
Sono le mani grosse delle contadine e quelle esili delle signore a protendersi sul quel sesso che Rodin non si vergogna a mettere in evidenza facendo convergere le linee-forza del disegno, quelle delle gambe e quella della postura del corpo tutto, che inevitabilmente accompagnano l’occhio dello spettatore proprio alla mano e all’inguine della modella, fulcro dell’opera proprio come nel celeberrimo quadro di Gustave Courbet (1819-1877) L’origine del mondo , all’epoca ancora inaccessibile al grande pubblico, ma probabilmente conosciuto da Rodin.
Con questo ciclo di disegni, infine, Rodin sperimenta talvolta pose dinamiche e “acrobatiche”, esercitandosi nella resa della figura umana colta nella sua dinamicità, talaltra, invece, sembra privilegiare l’essenzialità: l’autore inquadra arditamente il sesso delle sue modelle, in un incontro ravvicinato con l’intimo che, inevitabilmente, rimanda a Courbet e gli permette di cogliere, pur coi tratti rapidi e spezzati della matita, tutta la sinuosità del corpo femminile, molle e abbandonato al piacere.
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