Come tutte le grandi imprese, anche l’epopea delle crociate è ricca di avvenimenti particolari. Inevitabile, se teniamo in considerazione che per quasi due secoli, a intervalli regolari, i cristiani europei si radunarono in eserciti più o meno organizzati con l’intenzione di andare a strappare la Terra Santa ai musulmani. Gli esiti? A parte per rare fasi, sempre sbilanciati a favore di questi ultimi. Gerusalemme non rimase mai in mano cristiana per più di una manciata di decenni.
Se ne erano già accorti in tanti ai primi del Duecento, quando l’entusiasmo per l’impresa cominciava ormai a declinare dopo tre spedizioni ufficiali. Aveva avuto esiti insoddisfacenti anche la recente «Crociata dei Re» del 1189, così chiamata per la prestigiosa partecipazione delle teste coronate di Filippo II Augusto di Francia, Riccardo Cuor di Leone e Federico Barbarossa (morto, peraltro, durante il viaggio). Se non ci erano riusciti neanche loro, allora le probabilità erano davvero basse.
La vivace Venezia era stata protagonista nell’ombra da sempre: erano proprio gli armatori locali a fornire abitualmente le navi che dietro cospicui pagamenti portavano i crociati sulle sponde del Mediterraneo orientale, arrotondando i profitti con qualche saccheggio ai danni di navi e porti musulmani e bizantini. Non senza conseguenze: nel 1171 l’imperatore d’Oriente aveva confiscato tutti i beni veneziani sul suo territorio, scatenando un’escalation che si era risolta solo con pressioni miliari e un’intensa azione diplomatica. I mercanti della città lagunare continuavano comunque a tessere senza sosta le loro reti commerciali, risucchiando gran parte dei profitti dell’Impero bizantino.
Serviva solo l’occasione giusta per sferrare un colpo critico al gigante.
Leggi anche:
I Tetrarchi, simbolo della continuità del potere imperiale
Nell’aprile 1201 i grandi promotori europei di una nuova crociata richiesero qualcosa di mai visto prima ai loro traghettatori. A differenza dei viaggi precedenti, in cui ci si era organizzati con una serie di tappe a cui i crociati arrivavano scaglionati, questa volta si era deciso di tentare una traversata in massa fino all’Egitto. Lo scaltro doge veneziano, Enrico Dandolo, si accordò con i negoziatori: entro un anno e due mesi la città avrebbe costruito galere sufficienti a trasportare circa 35.000 uomini tra soldati e attendenti, i cavalli dei cavalieri, le vettovaglie necessarie, armi e bagagli; in cambio i crociati avrebbero raccolto la cifra impressionante di 85.000 marchi d’argento.
Nel giugno 1202 i veneziani avevano fatto il loro dovere: le galere da trasporto nuove di zecca erano pronte. I comandanti crociati un po’ meno: i soldati, anzitutto, erano meno di quanti prospettati. Ne conseguiva che erano state molte meno persone del previsto a versare la loro «quota di partecipazione» alla Guerra Santa: i crociati, in pratica, non potevano permettersi di pagare l’intera somma, ma solo poco più della metà.
Per capire gli eventi successivi è necessaria una piccola digressione politica, perché dobbiamo tenere a mente che, tanto per cambiare, l’Impero bizantino era nel caos. Nel 1195 l’imperatore Isacco II Angelo era stato deposto, accecato e incarcerato dal fratello Alessio III. Il figlio di Isacco, Alessio il Giovane, si era rifugiato alla corte di Filippo di Svevia (re di Germania e membro della grande casata degli Hohenstaufen; era figlio di Federico Barbarossa, fratello di Enrico VI e zio di Federico II), di cui era diventato cognato tramite la sorella Irene (vedi immagine 1). Con la forza della persuasione e delle promesse, Alessio il Giovane era riuscito a raccogliere il sostegno dei titolati europei, che fiutavano le possibilità di ottenere qualcosa da una sua eventuale ascesa al trono togliendo di mezzo l’omonimo zio. Simili intrighi avevano già fatto uscire completamente la spedizione dal controllo del suo più grande promotore, papa Innocenzo III.
Ma torniamo a Venezia, estate 1202. I crociati ammucchiati sui moli, le galere pronte, i nobili che fremono. Enrico Dandolo a questo punto colse l’occasione (prevista? chissà), proponendo un accordo: condonare il pagamento in cambio di un aiuto militare. La città di Zara, possedimento veneziano oggi in Croazia, era in piena ribellione, e occorreva riportarla sotto controllo. Ciò che il doge propose fu di includere la città dalmata tra le tappe della spedizione. Combattere contro altri cristiani? Un piccolo sacrificio, un male necessario sulla via di Gerusalemme e della salvezza eterna. Lo stesso Dandolo si mise trionfalmente a capo della spedizione.
Come previsto, Zara fu conquistata nel giro di una settimana, ma era ormai novembre e i crociati dovettero svernare nell’Adriatico. Qui ebbero tutto il tempo per dibattere sugli sviluppi successivi: da una parte il rispetto dei piani originali, puntando verso l’Egitto, dall’altra la voce insistente di Alessio il Giovane, che si lanciava in promesse sempre più assurde. Lo stesso arrivò a garantire che se i crociati avessero compiuto una deviazione su Costantinopoli, per incoronarlo al posto di colui che aveva accecato e detronizzato suo padre, avrebbe sostenuto la spedizione con un’enorme somma di denaro, un rinforzo di 10.000 uomini e addirittura la ricucitura dello scisma religioso, con il ritorno dell’Impero d’Oriente sotto il dominio spirituale del Papa di Roma.
Le fonti su questa fase sono fumose come quelle sull’inizio della spedizione. In molti avevano interessi enormi in gioco e si erano resi conto che i guadagni in denaro e prestigio potevano essere enormi. Ma il tutto correva sul filo della scomunica e della damnatio memoriae eterna: le conseguenze simboliche di un assedio cristiano a Costantinopoli erano probabilmente per chiunque imprevedibili.
Leggi anche:
Viaggio tra mosaici della Santa Sofia di Istanbul
Fatto sta che nella primavera del 1203 la crociata ripartì e costeggiando la Grecia arrivò davanti alla capitale bizantina. I crociati si accamparono a Galata e misero sotto assedio la città. A metà luglio, mentre alcuni quartieri già andavano in fiamme, un attacco congiunto via mare e via terra faceva entrare gli assalitori a Costantinopoli. Era la prima volta che la capitale d’Oriente soccombeva a un assedio. L’usurpatore Alessio III era fuggito con il tesoro imperiale e sul trono era stato riportato il vecchio, cieco predecessore, Isacco II. Questo non era propriamente l’obiettivo del nuovo amico dei nobili europei, Alessio il Giovane: era lui che tutti avrebbero voluto sul trono. Dopo tese trattative, ci si accordò per un affiancamento di Alessio (ora IV) al padre.
Missione compiuta, si va a Gerusalemme? No, perché prima bisogna riscuotere quanto promesso da Alessio IV mentre era in disgrazia. L’atmosfera in città era pesantissima mentre gli imperatori raccoglievano le somme con espropri e tassazioni sconsiderate: si trattava dopotutto di decine di migliaia di soldati e marinai che circolavano per Costantinopoli; a ciò si aggiungeva un malcontento ormai «storico» nei confronti degli Europei occidentali (i veneziani su tutti) che rosicchiavano lenti, ma inesorabili, i margini e i guadagni commerciali dell’Impero. Tensioni e scontri erano all’ordine del giorno.
Arrivò il 1204 e la pazienza di crociati e veneziani che non vedevano quanto promesso si era esaurita; gli abitanti di Costantinopoli non erano da meno e il malcontento contro il giovane imperatore che, quasi per un capriccio li aveva messi in quella situazione, cresceva giorno dopo giorno. Ai primi di febbraio Alessio IV fu imprigionato insieme al padre dalla folla in rivolta e ucciso dopo qualche giorno.
Il successore, Alessio V, si rifiutò di onorare i patti sottoscritti dal predecessore, scatenando definitivamente la rabbia repressa degli intrusi occidentali. Dopo un breve assedio e la fuga del neo-imperatore, il 13 aprile 1204, crociati e veneziani conquistarono nuovamente Costantinopoli. E come per ogni altro assedio le spietate regole della guerra prevedevano un saccheggio spietato, che non risparmiò nemmeno un edificio; i vincitori riportarono a casa una quantità di ricchezze indescrivibile, oltre a reliquie e ad opere d’arte dal valore inestimabile (ad esempio i quattro meravigliosi cavalli di bronzo detti «di San Marco», oggi tra i simboli di Venezia, giunsero in città proprio in questa occasione).
I conquistatori si ritrovarono in mano un nuovo Impero, e non rimasero a guardare: l’elezione dell’imperatore d’Oriente fu delegata a un gruppo di 6 veneziani e 6 baroni europei, che scelsero Baldovino di Fiandra; a lui fu assegnato il controllo di 1/4 dell’impero, mentre il resto fu frammentato in piccoli feudi e spartito tra i vincitori. Solo alcuni decenni dopo il governo bizantino ufficiale, riparato a Nicea, sarebbe riuscito a tornare su un trono ormai quasi fuori dai giochi.
Questa vicenda, con i suoi tratti grotteschi, colpì molto le coscienze europee e Sua Santità, Innocenzo III, fu rapido ed efficiente nella censura. Fu senza dubbio un colpo violentissimo per l’ideale cavalleresco e cristiano a cui in varie forme si ispiravano i titolati europei, beffati dai veneziani che uscivano da tutto questo come unici veri vincitori. La borghesia, rappresentata dai mercanti che non si fermavano davanti a nulla, continuava la sua ascesa cominciata un paio di secoli prima mentre il sole d’Oriente agonizzava.
Leggi anche:
Anna Comnena: chi era la principessa storiografa?
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!