La vicenda raccontata da John Milton in Paradiso Perduto, opera che ricordiamo essere del 1667 eppure così terribilmente attuale, è quella della caduta dell’essere umano nel peccato; Satana affascina Eva che cede. È la storia più antica del mondo, quella narrata da sempre, di generazione in generazione, volano del terrificante senso di colpa che gli esseri umani provano quando fanno qualcosa che va “contro” la morale religiosa e imperante. Dalla cultura cristiana viene chiamato il «peccato originale», una spada di Damocle che gli umani portano su di sé dal momento in cui vengono al mondo. Nessuno nasce puro, in sostanza, nessuno è immune dal peccato durante la vita, perché lo porta con sé da sempre.
Adamo, e prima di lui Eva, rinunciano alla purezza promessa da Dio in cambio della passione, della conoscenza, di un mondo che li seduce pur portandoli in un’atmosfera torbida, in cui il sogno dell’incanto eterno sfuma a favore della dannazione. Eppure quella dannazione la abbracciano di buon grado e vi si lasciano trasportare. Che cosa induce, dunque, l’essere umano a rinunciare alla pace, all’armonia, all’equilibrio in favore della conoscenza di qualcosa che può condurlo in un’ultima istanza alla morte?