Pulci ed eros. Forse non avrete mai pensato di trovare nella stessa frase due concetti così diversi, l’erotismo e un piccolo insetto succhia sangue portatore della peste bubbonica. Invece, nel Seicento, spulciarsi e spidocchiarsi a vicenda come due babbuini era un’azione affettiva praticata da tutti, persino tra amanti. L’arte e la poesia non mancano di mostrarci questo spaccato di vita privata che a noi pare così lontano e soprattutto così sudicio. Apriamo quindi questa finestra sull’arte e scopriamo quanto eros può nascondersi dietro ad una piccola insignificante pulce.
«La pulce» di John Donne
La pulce è una poesia erotica scritta nel 1633 dal poeta inglese John Donne che vede nella pulce un romanticismo a noi tanto sconosciuto quanto improbabile. L’insetto infatti succhia prima il sangue di lui poi quello di lei, unendo così i due amanti nel suo piccolo corpicino: «Prima ha succhiato me, e adesso te: In lei s’è mescolato il nostro sangue».
Secondo il poeta non c’è nulla di più intimo del sangue dei due unito nel corpo della pulce: «Perché in lei quasi sposati, Anzi, più che sposati, ora noi siamo». Per tutta risposta la donna schiaccia la povera pulce, ma il poeta non si dà per vinto e tenta di convincerla ad abbandonarsi ai piaceri: perdere la verginità – sottintende il poeta – non può essere più grave che aver ucciso un innocente contenitore d’amore.
Qui la poesia completa:
Tu osserva solo questa pulce, e guarda Che poca cosa è quella che mi neghi; Prima ha succhiato me, e adesso te: In lei s’è mescolato il nostro sangue; Non si può dire, ammettilo, un peccato, Una vergogna, uno sverginamento; Lei però gode, e non ha fatto altro Che pascersi d’un sangue che eran due, Cioè più di quanto avremmo fatto noi. Deh, fermati! Risparmia in una pulce Tre vite! Perché in lei quasi sposati, Anzi, più che sposati, ora noi siamo: Questa pulce sei tu, son io, è il nostro Tempio e letto di nozze; ci troviamo, Malgrado i tuoi, e te, murati vivi In queste vive mura di giaietto. Già lo stare con te potrebbe uccidermi, Se poi aggiungi un suicidio e un sacrilegio, Pecchi tre volte, ché ne ammazzi tre. Impulsiva e crudele! Hai già arrossato D’un innocente sangue la tua unghia? Di cosa questa pulce era colpevole Se non di quel goccetto a te succhiato? Tu stessa esulti e trovi che più deboli Non siamo ora tu ed io: è vero, impara Dunque, quanto sian falsi i tuoi timori: Giusto altrettanto onore andrà perduto – Quando a me cederai – quanto di vita Ti sottrasse il morir di questa pulce.
Pulci ed eros nell’arte
Il voyeurismo è stato ampiamente rappresentato nell’arte e l’atto di cercare le pulci implica lo spogliarsi e rimanere nudi a cercare tra le pieghe dei vestiti o nella carne l’insetto succhia sangue. Una bestiolina capace di raggiungere la calda pelle di una bella donna a differenza dei guardoni che possono solo sognare. Simile ad un Susanna e i vecchioni, vediamo una situazione analoga nell’olio su tela del pittore olandese Gerard van Honthorst, La caccia alla pulce (1628). Due uomini, dietro un pesante tendaggio, scrutano la donna a seno nudo farsi aiutare da una serva a cercare le pulci. La luce della candela illumina la pelle candida della giovane che guarda i suoi vestiti in cerca dell’insetto.
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Spesso ad essere voyeur siamo proprio noi, spettatori davanti al quadro come nel caso di Una ragazza in cucina (La chercheuse de puce) (1720-30 circa) del francese Nicolas Lancret: corpetto semi-slacciato, sguardo indagatore che cerca un’infida pulce nel suo florido seno. La ragazza in cucina che si spulcia è una delle tante. Continuiamo con Femme à la puce di Georges de la Tour fino a William Blake che dipinge persino il fantasma di una pulce, Ghost of a Flea (1819-20).
La storia e l’arte ci insegnano anche questo: l’eros si può nascondere davvero ovunque.
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