Ad ispirare Francesco Hayez per I profughi di Parga (olio su tela, 201×290) sono fondamentalmente due cose: anzitutto, la Storia, che nel 1819 vede il piccolo paesino greco di Parga e tutti i suoi abitanti, all’epoca sotto la protezione inglese, essere ceduti come oggetti al nemico ottomano; secondariamente, un poemetto di Giovanni Berchet, I profughi di Parga, appunto, pubblicato nel 1823 che raccontava proprio del triste fatto di pochi anni prima.
Il dipinto, terminato nel 1831, si colloca sulla scia di una delle “correnti” del romanticismo, il filellenismo, che vede i maggiori intellettuali europei schierarsi a favore del popolo greco insorto “ufficialmente” contro il dominio turco nel 1821, ma che già covava volontà indipendentiste da molto prima; tema centrale dell’opera è infatti l’orgoglio nazionale, il categorico rifiuto di sottostare alla dominazione nemica, le stesse spinte, in sostanza, che avevano portato i profughi di Parga a lasciare la loro cittadina per migrare verso le isole di Cefalonia e Corfù.
La scena che raffigura il pittore veneziano si articola su piani ben distinti che permettono allo spettatore di avere una visione di insieme che abbraccia sia quanto sta succedendo sullo sfondo, dove la città arroccata su un promontorio a sbalzo sul mare brucia, sia in primo piano, dove invece si colloca il manipolo di esuli che abbandonano le loro case in un clima di grande malinconia e toccante rassegnazione. Alcuni di loro, inoltre, affollano la spiaggia in attesa dell’arrivo delle imbarcazioni, visibili tra la foschia, all’orizzonte, che li porteranno verso la loro nuova casa, lontana dal continente e dagli affetti.
Il capannello in primo piano, con indosso gli abiti tradizionali greci si abbandona in gesti di profonda tristezza: c’è chi abbraccia per l’ultima volta gli alberi della città natia, chi rivolge un ultimo, disperato sguardo alla città prima che venga presa definitivamente dal conquistatore, che si avvicina, inesorabile e ben visibile. Una donna, china sul terreno, raccoglie un pugno di sabbia da portare con sé, mentre i padri e le madri abbracciano i figlioli per alleviar loro le pene della partenza coatta. Accanto al gruppetto, ben integrato ma allo stesso tempo ritirato in un’aura di intima spiritualità, un pope ortodosso prega in silenzio e incarna la fede che mai abbandonai profughi e che, anzi, è per loro un barlume di speranza in questo momento così tetro; la fede ortodossa, così come la lingua greca, sonodue degli elementi di autodefinizione del popolo ellenico, appellandosi ai quali i rivoluzionari inizieranno, nel 1821, la guerra di indipendenza.
«Che t´importa, o vilissimo inglese, / se un ramingo di Parga morì? – / Quella voce è il dispetto de´ forti / che, traditi, più patria non hanno», dice Berchet nell’omonimo poemetto: orgoglio, filellenismo, spirito di combattimento e di rivalsa sono quindi i temi sottesi a questa pietra miliare del romanticismo pittorico, oltre che i motori della rivoluzione che ha portato all’indipendenza dello popolo greco dall’oppressione del nemico ottomano.