Estate del 385 d.C., Trier (Treviri). Un uomo pronuncia le sue ultime parole prima di venire decapitato: è Priscilliano di Avila, influente vescovo e cittadino romano. L’accusa? Maleficium, o meglio dire “stregoneria”. Si tratta del primo di una lunga serie di processi che diventeranno tanto celebri nei secoli successivi, in un intreccio di politica, religione, magia ed eresia. Ma cosa ha fatto in modo che questo genere di accuse ricadessero su Priscilliano e i suoi compagni? Per scoprirlo bisogna ripercorrere la catena di eventi e gli intrighi che hanno portato a quel fatidico momento del 385 d.C.
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Nato nel 340 d.C. e proveniente da una famiglia di rango senatorio, Priscilliano seguì il canonico percorso di formazione previsto per tutti i cittadini di buona famiglia (studi di grammatica e retorica) e, rispondendo a una sua particolare vocazione, arrivò addirittura a fondare delle comunità religiose in diverse zone dell’Impero. La predicazione di Priscilliano riscosse particolare successo, soprattutto per la sua denuncia della corruzione delle gerarchie ecclesiastiche, il suo rifiuto dell’unione Chiesa-Impero e la sua vicinanza a tutte le sfere della società: donne e uomini, laici e religiosi, facoltosi e umili… per lui ognuno poteva ricevere l’abbraccio di Dio e non esistevano differenze sostanziali tra gli uomini, solo quelle imposte dall’esterno. Il successo fu tale che, come spesso avviene, si addossò molte antipatie durante il suo percorso, fra tutte quella di Itacio di Ossonoba, principale rivale e accusatore del vescovo di Avila.
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Il primo scoglio che Priscilliano dovette affrontare si presentò nel 380 d.C.: presso Cesaraugusta (oggi Saragozza) si tenne un Concilio ecclesiastico, durante il quale furono discusse le accuse nei confronti del movimento creatosi attorno a questo personaggio. Niente magia o stregoneria (almeno ufficialmente), ma si trattava principalmente di inappropriatezza a livello sociale e religioso: donne e uomini non imparentati che si riunivano in una stessa stanza, spesso di notte, per leggere e commentare insieme dei testi sacri, senza il filtro di una figura religiosa. Grazie all’influenza di cui godeva e alla protezione di un altissimo numero di famiglie nobili dell’Hispania – non senza la spinta delle mogli di alcuni senatori (sue adepte) – Priscilliano riuscì ad essere assolto e a non incorrere alla condanna per eresia. Erano tuttavia state poste le basi per quella che in seguito sarebbe stata una vera e propria persecuzione attuata nei suoi confronti e in quelli di chi a lui era in qualche modo legato, in primis Euchrotia: moglie di Delphidius (maestro di retorica di Priscilliano), rimase al suo fianco fino alla fine e, secondo alcuni, nascose addirittura la relazione che la figlia avrebbe avuto con il loro mentore.
In breve tempo la strada per queste comunità si fece sempre più impervia. Nel 382 d.C. una legge imperiale vietò le associazioni segrete e già una legge del 364 prevedeva la pena di morte per chi avesse preso parte ad assemblee notturne, in quanto ogni azione compiuta di nascosto – lontano dalla luce del sole – poteva costituire un tentativo di celare azioni illecite e farsi veicolo di nefariae preces. La notte, momento dell’irrazionale e del maligno, era da sempre stata associata a tutto ciò che era sporco, losco e malvagio. Con l’avvento del Cristianesimo questa visione si accentuò ancora di più, tanto che si credeva che nelle ore notturne si mettessero in moto i piani del diabolico. Eppure era proprio durante la notte che i seguaci di Priscilliano potevano sentirsi liberi di riunirsi e pregare insieme: lontani da occhi indiscreti e da sguardi giudicanti, si riunivano in dimore di campagna o in zone montane (territori liminali) e i loro inni si innalzavano alla luce della luna, in una sorta di panismo con l’ambiente circostante.
Il vescovo di Avila era già stato denunciato dai suoi detrattori per il suo interesse nei confronti dell’astrologia, associata in molti casi alla magia e, se già questi comportamenti potevano destare dei sospetti, la modalità in cui avvenivano le preghiere dei suoi adepti risultavano scandalose: si diceva che praticassero la preghiera nudi, per meglio convogliare le energie del Bene. Già in epoca più antica si credeva che la nudità e, soprattutto, la nudità femminile – si ricordino le numerose matrone seguaci di Priscilliano – potesse accrescere il potere magico e lo stesso Plinio parla, nella sua Naturalis Historia, dell’usanza di far camminare delle donne nude attraverso i campi per eliminare varie malattie del raccolto (NH 77-8).
In un mondo governato ormai dalla morale cristiana, nudità, donne e notte (elementi che saranno centrali nei processi per stregoneria) erano stretti nel nodo indissolubile del peccato, soprattutto in relazione ad altre caratteristiche del priscillanismo, quali il digiuno alla domenica e l’usanza di consumare l’Eucarestia solamente in seguito. Nemmeno l’appoggio delle famiglie più illustri poteva ormai salvare Priscilliano. Anzi, il fatto di avere sparso la sua voce per tutta la penisola iberica e le Gallie, con l’adesione di diversi vescovi al movimento, fece entrare in allarme le gerarchie ecclesiastiche e si decise di prendere dei provvedimenti in merito, soprattutto al fine di evitare un sovvertimento dell’ordine precostituito. Una soluzione utile a entrambe le forze che governavano l’Europa di allora, Chiesa Cattolica e Impero d’Occidente – guidato da Magno Clemente Massimo, “usurpatore” che doveva ottenere fiducia e appoggio – parve essere una condanna per eresia, nella fattispecie per maleficium: essa avrebbe favorito la soppressione di elementi particolarmente pericolosi gli occhi della Chiesa e, al contempo, la confisca dei loro beni (limitata alle proprietà personali) avrebbe rimpolpato le casse dello Stato e sarebbe stata favorevole all’erario, senza tuttavia intaccare i possedimenti ecclesiastici.
La fonte che meglio racconta gli avvenimenti successivi è Sulpicio Severo, il quale fece un resoconto del Concilio di Trier (Treviri) che si svolse nel 385: dopo due processi e il ricorso alla tortura, Priscilliano venne giudicato colpevole di maleficium, dell’insegnamento di obscenae doctrinae e del raccogliere attorno a sé assemblee di turpes feminae. Il suo operato venne ricollegato al manicheismo, i cui adepti erano soliti pregare nudi e, di conseguenza, si erano attirati l’accusa di atti scabrosi, quali orge rituali; non mancarono nemmeno accuse di pratiche di aborto, dato che la sua presunta amante (la sopra citata figlia della matrona Euchrotia) avrebbe fatto ricorso a delle erbe speciali per eliminare una gravidanza indesiderata. La conclusione di questa vicenda riporta a quanto detto all’inizio: Priscilliano e i suoi più vicini collaboratori, compresa la stessa Euchrotia, incorsero nella condanna a morte e il priscillianeismo venne considerato ufficialmente un movimento eretico.
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Che cosa si sa realmente su quanto avvenuto? Purtroppo le fonti in possesso degli studiosi sono quasi esclusivamente ostili al personaggio di cui si sta parlando, sebbene esistano delle tracce scritte di tentativi di difesa da parte di Priscilliano e il suo seguito, come il Liber apologeticus. Erano davvero praticati dei rituali magici? Uomini e donne pregavano effettivamente nudi? Non esiste una risposta certa a queste domande, ma un fatto è sicuro: Priscilliano, nel suo tentativo di promuovere il messaggio cristiano e di denunciare la corruzione interna alla Chiesa, era diventato un personaggio – troppo – scomodo. Scomodo e pericoloso per l’ordine precostituito, religioso, politico o sociale che fosse. La risposta non si fece attendere: morte.
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Bibliografia
- Augusto, Priscillian: the Life and Death of a Christian Dissenter in Late Antiquity (2024)
- Breyfogle, Magic Women and Heresy in the late empire: The case of the Priscillianists, in Ancient Magic and Ritual Power (1995)
- Burrus, The Making of a Heretic: Gender, Authority, and the Priscillianist Controversy (1995)