Dal 2008 l’argomento crisi economica domina i mezzi d’informazione e occupa le nostre menti, insieme a tutto ciò che porta con sé: povertà, disuguaglianze sociali, malcontento. Non è bello ammetterlo, ma è diventata quasi un’abitudine sentir parlare di tutto questo e, forse, l’argomento non genera più nemmeno tutta quell’indignazione dei primi tempi. Siamo convinti di conoscere la povertà, di aver familiarizzato con questo concetto, perché ci sentiamo tutti un po’ più poveri di prima. Ma dalla povertà economica, quella che tutti siamo convinti di conoscere, ne derivano altre, più silenziose e con cui forse non abbiamo ancora molta familiarità.
Una di queste è la povertà educativa, definita come «la privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni»; essa determina il mancato raggiungimento delle competenze cognitive indispensabili per farsi strada nel mondo di oggi. Ma non si parla soltanto di capacità che si apprendono sui banchi di scuola: la povertà educativa compromette anche la capacità di instaurare relazioni sociali, di raggiungere obiettivi, l’autostima. Tutti aspetti, insomma, che concorrono a determinare ciò che è una persona. Illuminiamo il Futuro è il progetto che Save the Children ha intrapreso nel 2014 per raccogliere dati su questo fenomeno ed elaborare un piano per contrastarlo. A più di un anno di distanza dall’inaugurazione del progetto è stato pubblicato il rapporto dell’associazione con i dati riguardanti il nostro Paese. La situazione, come si può ben immaginare, non è per nulla rosea.
In Italia il 24,7% degli alunni di 15 anni non raggiunge il livello minimo di competenze in matematica e il 19,5% in lettura (dati ottenuti tramite i test PISA). Il rapporto di Save the Children offre degli esempi dei test a cui i ragazzi sono stati sottoposti ed è fondamentale sottolineare che non si tratta di prove che richiedono specifiche competenze o abilità. Sono situazioni che chiunque nella sua vita lavorativa o privata può trovarsi ad affrontare: il semplice calcolo di un resto o la capacità di comprendere un testo e di coglierne il messaggio fondamentale. Non si tratta, insomma, dei classici argomenti che lo studente medio, spesso con suo grande sollievo, abbandona dopo il diploma e in cui non si imbatterà mai più. I dati diventano ancora più sconcertanti se si passa a esaminare le differenze tra le regioni: le percentuali del mancato raggiungimento del livello minimo di competenze in matematica, ad esempio, oscillano dal 10% della provincia di Trento (un dato paragonabile ai Paesi UE con i risultati migliori, come Olanda e Polonia) a ben il 46% della Calabria (pericolosamente vicino al 50% dei Paesi in via di sviluppo come il Messico).
Diversi fattori concorrono a creare queste percentuali. La qualità dell’ambiente scolastico è sicuramente un fattore fondamentale: si è visto che, tra i fattori che aumentano le probabilità di raggiungere i livelli minimi di competenze, rientrano una buona infrastruttura scolastica, la presenza di un collegamento internet, l’organizzazione da parte della scuola di attività extra-scolastiche, come sport, volontariato, gruppi musicali. Ma non si possono imputare tutte le colpe soltanto alla scuola: al mancato raggiungimento degli obiettivi concorrono anche molti altri fattori, per la maggior parte indipendenti dalla scuola. Innanzitutto, è importante per i bambini avere la possibilità di frequentare la scuola dell’infanzia per sviluppare fin da subito le capacità relazionali e sociali (le cosiddette capacità non-cognitive). Nel corso della crescita, poi, è indispensabile svolgere attività che arricchiscono sia a livello culturale che sociale: praticare sport, utilizzare Internet, visitare siti archeologici e musei, leggere. Anche qui, i dati per l’Italia sono desolanti: più del 50% degli adolescenti non ha letto libri nell’ultimo anno e oltre il 70% non ha visitato siti archeologici o assistito a rappresentazioni teatrali o concerti. La povertà socio-economica delle famiglie dei ragazzi di certo impedisce a molti di accedere a queste possibilità, ma non è un fattore determinante: per riprendere gli ultimi dati, se è vero che il 56% dei ragazzi provenienti da famiglie in difficoltà non legge, tra quelli benestanti il dato non è di molto inferiore (45%).
Tiriamo le somme: in Italia quasi 1 ragazzo su 4 ha gravi lacune in matematica e quasi 1 su 5 in lettura. Gli adolescenti e i bambini di età compresa tra i 6 e i 17 anni leggono poco, non partecipano ad attività culturali, non utilizzano Internet a scopo informativo. Le strutture scolastiche non aiutano: più della metà non offrono il tempo pieno e una serie di attività extra-curricolari che pure aiuterebbero molto i ragazzi. E, per una volta, la colpa non è soltanto della scuola o della famiglia, ma va equamente distribuita.
Da un lato, la diretta correlazione tra povertà economica e povertà educativa è un dato reale e molto preoccupante: non è pensabile che ancora oggi le scarse possibilità economiche di una famiglia siano per i bambini e gli adolescenti una condanna ad un’educazione manchevole e non adeguata a quelle che possono essere le loro capacità. Tanto più che la povertà educativa è un circolo vizioso, che si trasmette di generazione in generazione e con le attuali condizioni il rischio è che il numero delle famiglie in queste condizioni aumenti sempre di più. Un Paese come l’Italia deve poter garantire a tutti un’educazione adeguata, anche e soprattutto per non privarsi di quei talenti che, senza un aiuto materiale significativo, non avrebbero altra possibilità di svilupparsi. Dall’altro lato, come già accennato, la povertà economica non è il fattore maggiormente determinante: anche tra i ragazzi provenienti da famiglie benestanti, infatti, si nota una certa “pigrizia”. Qui, invece, un ruolo fondamentale è giocato dal contesto educativo della famiglia e del territorio in cui il bambino cresce, un contesto che ha il dovere di offrire il maggior numero di stimoli. L’offerta educativa – che non è solo quella scolastica – deve arrivare ad essere completa, integrata e di qualità, per accompagnare il bambino e poi l’adolescente lungo tutto il suo percorso educativo.
Un ultimo dato: l’Italia e la Grecia, i Paesi UE con il più alto tasso di NEET (i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non seguono un percorso di istruzione) e di disoccupazione giovanile, sono anche quelli in cui la povertà educativa è più elevata. Dati e statistiche alla mano – cosa che oggi sembra andare molto di moda – si conferma, una volta di più, che per un Paese che voglia ripartire è indispensabile investire nell’educazione dei più giovani.