D’un tratto suonò il citofono. Il trillo lo risvegliò dallo stato di torpore in cui era precipitato. Fuori dalla finestra il mare si perdeva nell’orizzonte. Il sole iniziava già a precipitare come se volesse tuffarcisi dentro. A est un’imperiosa parete rocciosa delimitava la spiaggia di ciottoli e il piccolo borgo che lì vi aveva trovato rifugio. A ovest un basso promontorio arso dal sole, abitato solo da sparute ginestre, chiudeva l’abbraccio della baia. Da casa sua riusciva a sentire il lento e stanco sciabordio del mare, il perpetuo e testardo infrangersi delle onde tra i sassi della riva. L’acqua era cristallina, anche in quel precoce pomeriggio di metà aprile. Il citofono suonò di nuovo, ma ancora non aveva raccolto le poche forze necessarie per alzarsi dal divano e andare a sentire chi fosse. Una mosca ronzava nella stanza. Il citofono suonò una terza volta. Forse era qualcosa di importante. Se lo fosse stato davvero, l’avrebbero suonato una quarta volta. Ma la quarta scampanellata non arrivò mai.
Più tardi, quella stessa sera, riprese a lavorare al suo libro. Raccontava la storia di un impiegato che, da un giorno all’altro, stanco della vita di città e dei suoi ritmi frenetici, lasciava tutto per rifugiarsi in un casolare nell’appennino umbro, dove però sarebbe diventato involontario testimone di un efferato omicidio. Si era bloccato a quel punto, e non aveva ancora trovato un modo per far proseguire la storia. Scarabocchiò un paio di parole sul suo taccuino, ma poi abbandonò l’opera e tornò a buttarsi sul divano.
D’un tratto suonò il telefono. Lo lasciò squillare diverse volte prima di decidersi, finalmente, a rispondere.
«Pronto» disse svogliatamente.
«Ciao. Sono passata da te oggi pomeriggio ma non eri a casa».
«Ah, sei tu. Ero a casa, ma non pensavo che potessi essere tu. Non sapevo che fossi già tornata».
«Sì, sono arrivata proprio stamattina».
Era passato un anno da quando si erano salutati l’ultima volta, mentre lei saliva su un treno che l’avrebbe portata a Nord. Era passato un anno da quando avevano deciso di troncare la loro relazione.
«Se sei d’accordo, vorrei passare domani mattina a salutarti» aggiunse lei.
«Certo. Volentieri» le rispose dopo qualche secondo di silenzio.
Lui stesso si accorse della punta di freddezza nella sua voce.
«Senti… non prendertela male, ma avrei bisogno di un favore. Adesso». Glielo disse però con la voce esitante. Lui se ne accorse.
«Mi rendo conto che ti possa sembrare assurdo. Non ci sentiamo da un anno e adesso me ne ritorno così, senza avvisarti, e per di più con un favore da chiederti» aggiunse.
«Non preoccuparti. Dimmi. Di cosa hai bisogno?».
«Ecco… avrei bisogno della tua ricetta delle polpette».
Tutto si sarebbe aspettato, meno quello. Non sapeva cosa risponderle. Avrebbe avuto tante cose da chiederle. Avrebbe potuto raccontarle quanto aveva sofferto della sua mancanza in quell’anno in cui non avevano più avuto notizie l’uno dell’altra. Avrebbe voluto che lei gli raccontasse tutto quello che le era successo in quell’anno. Avrebbe voluto che lei gli chiedesse cos’era capitato a lui in quel tempo così breve e così lungo. Invece niente di tutto questo. L’aveva cercato solo per chiedergli la ricetta delle polpette. Non era cambiata di una virgola.
«Va bene. Prendi nota, te la spiego velocemente. Se qualcosa non ti è chiaro me lo chiedi dopo. Innanzitutto ti serve la carne trita, meglio se macinato scelto di manzo. La quantità vedi tu, in base a quante polpette vuoi fare. Poi ti serve un formaggio da fare a pezzettini, ad esempio la provola, parmigiano grattugiato e pangrattato. Due uova, sale e pepe. Metti la carne trita in una ciotola e aggiungi le uova. Devi averle già sbattute un po’ prima. Poi inizia a impastare con le mani e quindi aggiungi al composto anche i cubetti di provola e il parmigiano. Ah, se ce l’hai puoi metterci anche del prezzemolo. Aggiungici sale e pepe, poi lavora il tutto con le mani e forma un panetto; lascialo in frigorifero a riposare per circa mezzora. Passata la mezzora, versa il pangrattato in un piattino, quindi togli il panetto dal frigorifero e inizia a staccare dei pezzettini da appallottolare usando i palmi delle mani. Ogni pallina passala poi nel pangrattato e appoggiala su un vassoio o qualcosa di simile. Quando hai preparato tutte le polpettine, prendi una padella e mettici un bel po’ d’olio da frittura a scaldare. Deve diventare bollente. Prendi una schiumarola e con quella ci immergi le polpette, massimo due o tre alla volta. Le lasci dentro un paio di minuti, finché non sono belle dorate, poi le tiri fuori e le lasci su un vassoio ricoperto da carta assorbente, così da togliere l’olio di troppo. Vai avanti così finché non finisci le palline che hai preparato. Tutto chiaro?». Lei adorava le sue polpette di carne. Gliele aveva preparate tantissime volte. La ricetta la ricordava a memoria e gliel’aveva raccontata tutta d’un fiato.
«Mi sei mancato tanto. Non vedo l’ora di rivederti domani» disse lei, prima di riagganciare il telefono. Non era proprio cambiata di una virgola.
Stanco delle solite noiosissime ricette, senza passione, fredde e distaccate? «Ricette ma scritte bene» è una rubrica di Frammenti Rivista a cura di Michele Castelnovo: ogni settimana vi proponiamo una ricetta, ma lo facciamo attraverso un racconto breve. Qui tutte le ricette.
Immagine in copertina da soniaperonaci.it
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