«Non è questione di dipingere la vita, ma di dare vita alla pittura» scrive un giorno il pittore Pierre Bonnard (1867-1947) ripensando alla propria produzione artistica. Dal 1927 si è ormai stabilito a Le Cannet, il villaggio provenzale in cui coltiva il proprio isolamento, come Claude Monet o Paul Cézanne prima di lui, rispettivamente a Giverny e ad Aix-en-Provence. Bonnard vi arriva avendo alle spalle una storia poco lineare, segnata da crisi e ripensamenti stilistici nonostante i quali viene tuttavia incoronato come uno dei maggiori pittori coloristi francesi. E pensare che, all’inizio, la sua carriera di avvocato sembra ben definita.
Pierre Bonnard, però, vive in quella che, a tutti gli effetti, all’epoca rappresenta l’autentica capitale artistica del mondo, Parigi, subendo il fascino della bohème. Nel 1891 decide allora di abbandonare l’attività forense per dedicarsi alla pittura e quello stesso anno espone per la prima volta al Salon des Indépendants.
Bonnard emerge fin da subito come il pittore della luce, di una luminosità quasi onirica, in cui il colore non si carica della dirompenza tipica di altri nabis come Paul Sérusier, ma si concede a tenui sfumature e passaggi tonali. Soprannominato «le poète de l’intime», egli eccelle nella rappresentazione dell’intimità domestica, dedicando numerose tele a soggetti femminili e maschili colti nella nudità di momenti quotidiani come il risveglio o la toletta.
L’incontro con la compagna di una vita
Nel 1893 conosce una ragazza che, per professione, compone corone di fiori artificiali per i funerali; dice di chiamarsi Marthe de Méligny, di avere 16 anni e di discendere da una famiglia italiana di antico lignaggio. In realtà di anni ne ha 24, il suo vero cognome è Boursin ed è figlia di un carpentiere del Berry. Bonnard se la ride, a lui poco importa: finalmente ha trovato la modella ideale, colei che, nel corso degli anni, diventa per lui il soggetto quasi ossessivo dei propri quadri. Dall’altro lato, facendo leva sulla propria indole a tratti tirannica, la Boursin cerca di convincere il compagno a distruggere le tele rappresentanti la modella precedente; è questo solo un aneddoto a testimonianza di una relazione un po’ sbilanciata ma alla fine duratura. I due si sposano nel 1925, dopo trent’anni di vita comune.
Che si tratti del riflesso di un volto ad una finestra, di un corpo rannicchiato in una vasca o di una sagoma accennata sullo sfondo, la figura di questa donna permea i lavori di Bonnard il quale cercherà di racchiudere, nelle sue opere, quella sensazione di giovinezza eterna e di mistero che lei gli ispira. Attrezzato di una piccola Kodak portatile, l’artista fissa le movenze della propria compagna in scatti in bianco e nero poi tradotti sulla tela da pennellate di colore.
È sempre Marthe a tornare in Nu dans le bain (1936), dipinto dopo aver ormai installato il proprio atelier nel bagno di casa. Ricorrendo ad un’angolatura inusuale, l’artista coglie il corpo della donna, abbandonato nella vasca ma al contempo così solido rispetto alla liquidità dell’acqua. Il contrasto con la compattezza del mosaico di mattonelle turchesi è eclatante. Dalle estremità si eleva intanto una luce dorata ad avvolgere il bordo della vasca e il viso di Marthe, assegnando un’aura quasi divina ad una scena all’apparenza banale.
Nelle opere di Bonnard, tuttavia, la figura della compagna appare sempre distante, assorta nelle faccende domestiche. La sua presenza-assenza è accentuata da uno sguardo che non incontra mai quello del pubblico, triste indizio anche della relazione, spesso priva di comunicazione, con l’artista. Complice la malattia della donna, i due vivranno una progressiva estraneazione e il loro rapporto si trasformerà in una maniera indescrivibile, non semplice da afferrare. Si ha quasi l’impressione che Bonnard veda ormai Marthe soltanto come un soggetto da studiare, analizzare da ogni angolazione e riproporre ripetutamente sulla tela.
Nonostante lo scorrere del tempo, nei suoi quadri Bonnard rappresenterà sempre la moglie con le fattezze di una fanciulla. Chissà, forse per tenere vivo almeno il ricordo di quella ragazza che un mattino, in una via di Parigi, gli aveva strappato un sorriso.