Dal Medioevo ad oggi i visitatori del castello di Roccabianca, nel cuore del ducato di Parma, sono accolti sotto un porticato riccamente decorato. Per tutta la vòlta come un coro, rami di nespolo si intrecciano a nastri rossi che recitano un motto: «già acerbo, ora dolce che maturo». Simboli di un amore eterno, paziente e sincero raccontano una vicenda amorosa poco conosciuta, ma ricca di fascino: la relazione tra il conte Pier Maria II de’ Rossi e Bianca Pellegrini, dama di Arluno. Questa storia, degna dell’immaginario stilnovistico e cortese, come molte altre molto più famose, fu una relazione adultera e vissuta al di fuori del vincolo matrimoniale, ma non per questo meno devota e seppe sopravvivere oltre il tempo umano dei due amanti.
Il ritratto del conte
Pier Maria II de’ Rossi nacque il 25 marzo del 1413 a Berceto, un territorio di Parma. Unico erede maschio, ricevette la migliore educazione non solo militare ma anche umanistica per renderlo l’uomo politico e capo militare che avrebbe dato lustro al casato.
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Le prime fonti storiche ufficiali in cui appare risalgono solo al 1428, quando a quindici anni si sposò con Antonia Torelli, figlia di un nobile locale. Attraverso questo matrimonio nacque l’alleanza tra i due casati e una lunga discendenza di undici figli.
La famiglia de’ Rossi era strettamente legata a quella dei Visconti di Milano, quindi Pier Maria II poté dimostrare le sue doti militari prestando servizio al loro fianco e distinguendosi nella guerra contro la Repubblica di Venezia nel 1438.
Il condottiero e la dama: l’incontro tra due anime nobili
Fu proprio alla corte viscontea a Milano che il condottiero parmense incontrò la donna con la quale avrebbe intrecciato il suo cammino per il resto della sua vita: Bianca Pellegrini, la dama d’Arluno.
Nata a Como nel 1417, Bianca Pellegrini era una delle dame al servizio della duchessa Bianca Maria Visconti ed era sposata con Melchiorre Arluno, un potente funzionario amministrativo della corte viscontea molto più anziano di lei. Purtroppo in merito a questa dama le fonti risultano essere molto lacunose, tuttavia quelle poche sopravvissute ci raccontano di una donna estremamente colta ed affascinante. Entrambi avevano ricevuto la migliore formazione letteraria dell’epoca, per questo il loro incontro non poté che essere letto nel segno della fiamma dell’amor cortese e dell’unione di due anime affini.
Nel 1440 quando Pier Maria II dovette far ritorno a Parma, Bianca lo seguì. Il vincolo matrimoniale che li legava ai rispettivi coniugi non fu mai un limite ed entrambi vissero questa relazione adultera apertamente e alla luce del sole.
Il nido d’amore dorato degli amanti Pier Maria II de’ Rossi e Bianca Pellegrini: il castello di Torrechiara
Gli anni che seguirono furono i più fulgidi per il casato de’ Rossi e l’alleanza con Milano lo portò ad impegnarsi in numerose campagne di consolidamento e ampliamento nel territorio parmense. Nel 1447 venne nominato Capitano dai parmigiani dopo il successo ottenuto nell’assedio contro Piacenza, restituendo alla città i territori che erano stati strappati e la libertà. Per controllare i domini acquisiti, nel 1448 il conte ordinò la costruzione di un castello su un’altura non lontano da Parma. In onore dell’amante diede alla costruzione il nome di Torrechiara. Sebbene non avesse abbandonato la natura itinerante dei suoi predecessori e avesse lasciato la cancelleria in un altro luogo, Torrechiara diventò la sede della corte, ma anche il nido d’amore in cui vivere la sua relazione con Bianca Pellegrini.
Per celebrare questo amore commissionò La camera peregrina aurea. L’oro dominava sovrano e illuminava i dipinti di quella che si può considerare una vera e propria cronaca in affreschi delle fasi della loro storia: dal momento in cui il dio Amore bendato che colpisce i due giovani e li condanna alla passione imperitura, fino allo scambio reciproco dei doni di fedeltà: la spada e la corona d’alloro, secondo l’uso dell’amor cortese. Sempre nel segno della tradizione stilnovistica, in una sorta di senhal in forma di affresco, l’identità della donna viene celata nell’immagine di una peregrina, che viaggia tra i castelli del ducato parmense, cercando l’amato. Per la prima volta avviene uno scambio di ruoli: il tema della donna in cammino è una novità nell’arte del tempo. Anche nella letteratura dell’epoca, come per esempio nel celebre Roman de la Rose di Jean de Meung, il viaggio verso il castello in cui è rinchiusa l’amata è un dovere prettamente maschile per essere degno d’amore. Probabilmente oltre alla novità si può leggere tra le righe un significato ulteriore: i tratti di Bianca in questo dipinto si perdono, non solo per i segni del tempo, ma per la volontà di trasfigurarla e renderla quasi divina, divenendo la guida di un viaggio ultraterreno che accompagna l’anima attraverso l’amore alla perfezione.
Dall’altra parte, come i rispettivi coniugi vivessero quella relazione extraconiugale non è del tutto chiaro. Per quanto riguarda Antonia Torelli, sembrerebbe che la convivenza con la dama d’Arluno nella vita del marito non fosse gradita, per quanto accettata. Molto probabilmente ciò fu dovuto anche al fatto che Pier Maria II avesse dedicato all’amante due castelli, Torrechiara e Roccabianca, non molto lontani dalla residenza della moglie ufficiale, a San Secondo. Tutto ciò spiegherebbe anche il motivo del suo ritiro in convento, due anni prima di morire, come un tentativo di farsi definitivamente da parte e lasciar vivere al marito la sua vita. In quanto a Melchiorre Arluno, secondo alcune fonti, sembra che il conte parmigiano avesse cercato di far annullare il matrimonio tra Bianca e suo marito, senza però riuscirci. D’altro canto, però, non sono mai nemmeno stati trovati dei documenti che testimonino un tentativo di sposarla quando lui rimase vedovo. Anche le speculazioni in merito ad una discendenza tra Bianca Pellegrini e Pier Maria II de’ Rossi non sono mai state appurate, in quanto Ottaviano ed Antonia comparivano legalmente riconosciuti dal consorte milanese della dama, mentre di un’altra presunta figlia, Francesca, si perdono le tracce nelle nebbie della storia.
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Non si potrebbe escludere che Ottaviano potesse essere il figlio naturale del condottiero, in quanto venne designato come uno degli eredi, insieme a Bianca di due dei castelli più importanti. C’è anche da considerare che, come in ogni famiglia nobile dell’epoca che si rispetti, non mancarono gli scandali in seno alla famiglia de’ Rossi: i figli Giacomo e Giovanni, vennero sostituiti proprio in quel testamento perché colpevoli di un omicidio ai danni di uno degli amici più fedeli di Sforza. Per questo il conte li cancellò dal testamento, non solo per il suo dovere di pater familias, ma anche per evitare attriti con Milano.
Pier Maria II de’ Rossi e Bianca Pellegrini: nella buona e nella cattiva sorte
Tra gli anni ’50 e ’70 del Quattrocento Parma diventò un piccolo stato grazie all’appoggio milanese. Il conte aveva saputo approfittare del momento di stabilità, esercitando il suo potere per creare un dominio robusto, basato anche sui legami personali che aveva creato con le famiglie dell’élite urbana e sulla protezione fiscale di i cittadini godevano.
Bianca Pellegrini gli rimase accanto non solo nella buona, ma anche nella cattiva sorte, sostenendo l’amato anche quando la sorte volse gli eventi contro il casato de’ Rossi. Infatti nel 1476 in seguito all’omicidio di Galeazzo Maria Sforza ne seguì una crisi che coinvolse anche i territori del parmense. Le famiglie dell’élite cittadina della città che erano stati esclusi dai privilegi elargiti si ribellarono contro il conte.
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Il 1480 fu una data cruciale per il conte. Prima di tutto perse l’amatissima compagna Bianca Pellegrini, che venne sepolta nel castello di Torrechiara; In secondo luogo il rapporto tra la sua famiglia e Milano si incrinò a causa dell’influenza sul reggente Ludovico il Moro dei rivali, i Pallavicini.
Nei due anni successivi il conte si impegnò a contrastare Milano, che aveva attaccato Parma. Per farlo dovette allearsi con l’antica rivale che aveva sconfitto quando era giovane: la Repubblica di Venezia. Banditi da Milano, il suo casato e i suoi sudditi resistettero per più di un anno, ma alla fine persero. Quando morì nel 1482 venne sepolto con l’amata Bianca a Torrechiara e non dovette assistere allo smembramento della signoria che aveva costruito e protetto per tutta la sua vita.
Quando la tomba venne aperta non fu trovata traccia dei resti dei due amanti. Tuttavia i loro castelli restano i testimoni di questo amore così passionale, devoto e imperituro, vissuto sotto il segno della fedeltà al motto impresso nelle pareti: «nunc et semper e digne et in Aeternum. Ora e sempre degnamente in eterno» il sentimento vinse i vincoli sociali, ma anche il tempo umano dei due amanti, elevandoli verso un viaggio verso l’immortalità attraverso il loro amore.
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