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picnic hanging rock

Il lungo pomeriggio dell’iniziazione

Il racconto di un mistero, il tentativo di comprendere e rendere visibile il Sacro, la coabitazione con un erotismo che è a sua volta investito di una forte valenza allegorica. Tutto questo è «Picnic ad Hanging Rock».

3 minuti di lettura

In bilico tra realtà e immaginazione, in una sospensione del tempo ora mitica ora magica, Picnic ad Hanging Rock (1974) è un’opera-palinsesto, una costruzione di simboli che procede per sottrazione. Dal convergere di elementi afferenti a varie tradizioni (letteraria, esoterica, antropologica, biblica), la pellicola di Peter Weir – come il romanzo da cui è tratta, dell’australiana Joan Lindsay (1967) – edifica un’atmosfera rarefatta, disseminata da tracce che non portano a una soluzione. Tutto è impalpabile, indefinibile, impenetrabile.

È la collocazione geografica a illuminare in parte l’enigma: a pochi chilometri da Melbourne, nell’aristocratico collegio femminile di Appleyard, fervono i preparativi per la gita ad Hanging Rock, la Roccia, il grande monolite rosso situato nel territorio della nazione Wurundjeri. Secondo una leggenda tramandata delle popolazioni indigene australiane, il sito sarebbe denso di energie “vitali”, una sorta di punto di coagulazione tra spirito del luogo ed espressione fisica del sovrannaturale. È qui, tra erotismo soffuso e languori celati, in un quadro prerafaellita che ricorda le sfocature di David Hamilton – il cui sguardo si appunta, non senza chiaroscuri, su giovanissime fanciulle – che si compie il “mistero” al centro della narrazione: un gruppo di ragazze scompare, come inghiottito dalla roccia.

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Nessuno sembra comprendere la dinamica dei fatti; non Edith (Christine Schuler), la sola ad essere tornata a valle in evidente stato di shock, né M.lle de Poitiers (Helen Morse), l’insegnante di francese, incaricata della sorveglianza insieme alla collega Miss McCraw (Vivean Gray), di cui si perdono le tracce. Uluru, nome aborigeno del monolite, è territorio primitivo e inaccessibile. Rappresenta il Sogno, un luogo iniziatico, zona metaforica della creazione. Qui nulla ha un senso, e del resto «c’è un tempo e un luogo perché qualsiasi cosa abbia principio e fine», come afferma Miranda (Anne-Louise Lambert), la protagonista che sembra «un quadro del Botticelli», incarnazione della bellezza, dea dell’Eros e dell’origine della vita.

In questo reticolo di rimandi simbolici si annida l’interpretazione più suggestiva dell’opera, quella che chiama in causa l’Altra dimensione, un livello superiore e inattingibile di conoscenza, a cui si accede, come da tradizione, al termine di un cammino iniziatico, di una sorta di “rito” che comprende: ascensione (le giovani salgono verso la Roccia), riconoscimento reciproco (dal quale la sola Edith, diversa persino fisicamente dalle altre, è esclusa) e passaggio attraverso la “porta stretta” (un anfratto roccioso)  – elemento a cavallo tra tradizione sciamanica e ascendenza biblica.

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Il ruolo di Miranda, la sua bellezza al tempo pura e conturbante, il chiarore in cui pare immersa sin dalla prima scena, risultano più comprensibili – eppure mai realmente decifrabili – alla luce di quanto espresso dalla compagna Sarah (Margaret Nelson), esclusa dalla gita per ragioni economiche (la ragazza, orfana, è infatti in ritardo con il pagamento della retta). Visceralmente legata all’amica, nei confronti della quale prova un affetto simile alla devozione, Sarah sa che Miranda «non è andata lì per caso», lei che «conosce cose che pochi altri conoscono: segreti».

È in questa prospettiva che Picnic ad Hanging Rock può essere letto come la storia di un’iniziazione, una parentesi – o meglio, una frattura – nel tempo rigido e codificato del collegio, fatto di rituali già definiti, destinati a ripetersi infinite volte. Proprio Kronos, con la sua apparente linearità, è sfidato in questo pomeriggio misterico, erroneamente accompagnato, nel sottotitolo italiano, dalla specificazione “della morte”. Niente di più inesatto, giacché la “salita” di Miranda e delle altre compagne elette, avviene in una dimensione sottratta all’ordine, in cui gli orologi si fermano a mezzogiorno, momento in cui il sole si trova al suo zenit nel cielo e in cui i corpi fisici non producono ombre. Un’ora di sospensione assoluta, nella giornata di San Valentino, in cui l’Eros assume forme sublimate, di sguardi fuggevoli tra le ragazze, di attrazione e desiderio da parte di un giovane aristocratico e del suo stalliere, rimasti incantati dalla bellezza di Miranda.

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C’è, in ogni frammento della narrazione, un equilibrio di riferimenti che riposa nell’opposizione: dentro/fuori; ordine/caos; Civiltà/Natura; apollineo/dionisiaco. Così, quello di Picnic ad Hanging Rock è il racconto di un mistero, il tentativo di comprendere e rendere visibile il Sacro, la sua indicibilità, la coabitazione con un erotismo che è a sua volta investito di una forte valenza allegorica perché, come afferma Pasolini, ciò che attiene al desiderio è «un’esperienza cosmica».

Bibliografia

R. Guénon, Simboli della scienza sacra. Adelphi, Milano, 1978.
M. Eliade, La creatività dello spirito. Jaca Book, Milano, 1979.
M. Maculotti, “Picnic at Hanging Rock”. Un’allegoria apollinea, in “AXISmundi”, 18 ottobre 2018.
R. Masiona, Il fascino nel tradurre. The tusks of the translator… in a China shop, Morlacchi, Perugia, 2009.

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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