Uno può anche sostenere che la filosofia sia cosa poco concreta, che interessi esclusivamente chi si occupa di astrazioni e roba metafisica, e che della realtà concreta abbia ben poca cognizione. Lo si può sostenere, certo. Ma non è così. E a dimostrarlo stavolta, dopo mille tentativi, non è l’ennesimo libro di filosofia, bensì un romanzo, un romanzo bellissimo, uscito da poco per Einaudi e scritto da Alice Cappagli. S’intitola Niente caffè per Spinoza (acquista), e vorremmo dirne qualcosa.
Niente caffè per Spinoza
La storia è semplice. C’è una Lei, giovane, Maria Vittoria, vittima di una vita subita, forse per scelte affrettate, forse per false illusioni, che si ritrova dopo un matrimonio poco, anzi, per niente funzionante, a cercare qualche via di fuga dal marito/despota, per il quale assolve la funzione di badante-stira-camicie. Poi c’è un Lui, vecchio, Luciano, ma che si fa chiamare Professore, che della vita è alla fine e nonostante ciò, o forse proprio per questo, ne è un esperto. Ne è un esperto anche perché Professore non è solo un nome, bensì il mestiere della sua, di vita. Insegnante liceale di filosofia, il Professore introduce Maria Vittoria al mondo della saggezza, quella di Spinoza, di Epitteto, di Pascal, di Aristotele. Come? Per puro caso Maria Vittoria si ritrova ad accettare un lavoro presso la casa del Professore, ormai cieco ed inabile. C’è un’unica condizione perché il posto le venga assegnato: dovrà, innanzitutto, leggere, ossia, svolgere il compito che gli occhi del Professore non sono in grado si assolvere.
“Professore, poi mi spiegherà meglio?“.
Lui si grattò la testa bofonchiando: “Non dobbiamo volere con ostinazione che le cose vadano come desideriamo, ma desiderare che vadano come vanno“.
Provai a dire qualcosa di decente: “Sarà, ma forse è un po’ rassegnato questo Epitteto”.
“Stoico, stoico”.
“Non si può cavare il sangue dalle rape, giusto? Lo dicono anche al mercato”.
L’essenziale è invisibile agli occhi
Ma d’altronde, si sa, l’essenziale è invisibile agli occhi. Così è Maria Vittoria a scoprirsi cieca, cieca di fronte ad una vita non voluta, e di fronte ad un uomo, il Professore, che vede ben più lungo di quanto la sua vista non dia a credere, perché non con gli occhi vede, ma coll’intelletto, che già Platone considerava l’unica visione in grado di attingere la verità.
Una storia semplice
Nel romanzo c’è poco più di questo. Oltre a una schiera di altri personaggi più o meno secondari che gravitano intorno alle vite dei Nostri, ripetiamolo, nel romanzo c’è poco più di questo. Dei gratia, perché è proprio qui che sta tutta la bellezza del libro della Cappagli, che è un libro virtuoso perché mentre sembra stia parlando di niente, in realtà parla del tutto. Niente caffè per Spinoza è fra quei pochi libri in grado di trasfigurare la quotidianità in universale. È così, perché prende pezzi della vita di tutti i giorni, e trae da questi quel nocciolo di verità che, in qualche modo, chiama in causa ognuno di noi. Che senso ha la vita? Dove andiamo? Perché ci troviamo qui? Come rivendicare noi a noi stessi? E la morte? Tutto ciò senza imbastire domandoni esistenziali pseudo sartriani, ma toccando il nervo delle situazioni che ogni giorno, volenti o nolenti, siamo tutti chiamati a vivere.
“Vede, Maria Vittoria, adesso riprendo possesso della mia casa, quindi non tutti i mali vengono per nuocere. Resta comunque uno strascico di…” si soffiò il naso
“Di?”
“Di frasi irrisolte”
“Si tratta di un discorso troppo difficile per me”
“Non è vero, non è così difficile. Magari anche lei ha qualcosa d’irrisolto che le rende la vita più dura, ma nello stesso tempo la induce a cercare una soluzione”
[…] “Lei ha frasi irrisolte?”
“Sì, ne ho molte. E non soltanto frasi , ma fatti irreparabili. Per colpa dei miei occhi non sono riuscito ad essere tempestivo nei momenti della vita in cui avrei dovuto stare più attendo”, fece una pausa, come cercando delle parole. “Credevo di poter leggere i miei libri finché non avessi avuto un filo di luce che filtrava dalle pupille, e invece a volte bisogna guardare, oltre che leggere. Sa? Non avevo considerato che la luce potesse servire ad altro”.
La prosa della Cappagli è elegante e, sì, diciamolo pure (Fruttero e Lucentini abbiano pietà di noi) scorrevole, nel senso che pur non parlando di niente, lo abbiamo detto, vi costringe ad una lettura spedita. Ci ricorda in questo, in Italia, un Satta, anche lui maestro della trasfigurazione del quotidiano in universale, ma con la leggerezza di un Calvino o di un Savinio.
Educazione intellettuale
Ed è tutto un’educazione oltreché sentimentale (in senso lato) pure intellettuale per Maria Vittoria, che attraverso le parole del Professore scopre il valore stoico del coraggio davanti alla morte; della rassegnazione che nasce non dal forzare il destino, ma imparando ad andarci insieme; della felicità epicurea, che è sazietà più che sovrabbondanza; dell’insignificanza della vita umana, da noi, perché umani, ritenuta cosa grande, ma della quale non si vede invece la piccolezza.
Niente caffè per Spinoza diventa quindi per il lettore stesso un avvicinamento ai, o un ripasso dei, precetti fondamentali della filosofia, ed è in questo rasserenante, molto rasserenante, giacché ci aiuta, ancora una volta, a esser soli con noi stessi ed insieme ad amare questa solitudine. Perché, d’altronde, la nostra felicità non può che riposare qui. E che c’è di più concreto di un salutare ritorno a noi stessi?
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