Quella appena trascorsa è stata una settimana molto importante per l’Unione Europea. Da tempo leggiamo sui giornali che quello che accade ha valenza straordinaria e progressivamente ci siamo assuefatti alla logica dell’emergenza costante, quindi della non emergenza e della regolarità del non regolare. Con questo atteggiamento abbiamo affrontato il tramonto delle ideologie, il progressivo smantellamento del sistema di benessere e delle tutele sociali e la capacità stessa di reagire in difesa dei nostri interessi come singoli e come popoli.
Con questo atteggiamento abbiamo accettato senza alzare voce le assurde misure adottate a livello intergovernativo dopo la crisi finanziaria, come il fiscal compact, il meccanismo di stabilità o il patto di stabilità. E nello stesso modo, abbiamo accettato di firmare trattati sull’Unione Economica e Monetaria o sulla gestione dei flussi migratori che solo oggi stanno mostrando tutta la loro debolezza in risultati disastrosi e quasi distruttivi.
Eppure c’è qualcosa in questa settimana che sembra avere scardinato le regole cui finora eravamo abituati. Se prendiamo, ad esempio, il discorso sullo Stato dell’Unione del presidente Jean Claude Juncker, quello che traspare è un concreto senso di consapevolezza rispetto una fragilità esistenziale dell’Unione Europea al quale, tuttavia, si sono accompagnate solo timide proposte di cambiamento.
Al contrario, per la prima volta, è parso che i Socialisti e Democratici abbiano percepito che siamo al punto di svolta. Il discorso del presidente Gianni Pittella è stato non soltanto l’appello politico a nuove politiche sociali all’interno dell’Unione Europea, ma un ragionamento sentito e con obiettivi mirati. L’attacco diretto al ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, al presidente dei Popolari al Parlamento Europeo Manfred Weber e ai falchi dell’austerità è suonato come un monito chiaro e un punto di non ritorno.
La richiesta di misure contro il dumping sociale, che colpisce gli individui e le comunità europee, in violazione dei principi del Mercato Interno e dello spirito di solidarietà dell’Unione, la spinta per l’adozione di un Pilastro Europeo dei diritti sociali, l’invito ad adottare politiche europee che tutelino i lavoratori e regolino l’attività delle imprese, soprattutto in quei settori, come la sharing e digital economy, che ancora soffrono di un vuoto legislativo, sono richieste importanti. Il riferimento esplicito a misure che obblighino le imprese a pagare le tasse nei Paesi dove si fanno i profitti, alla necessità di liste nere dei paradisi fiscali, oltre che ad una nuova direttiva sui lavori precari sono punti chiave.
Che questa nuova spinta sull’acceleratore di risposte socialiste alla crisi che stiamo vivendo sia di marca strettamente italiana non va ovviamente celato, ma non per questo la notizia assume rilievo minore. Certamente la conferenza di Atene e la firma della carta anti-austerity da parte dei leader europei socialisti mediterranei avevano alimentato le speranze di non pochi, tra cui Matteo Renzi stesso. Lo strappo di Hollande a Bratislava ha indebolito notevolmente il fronte della sinistra europea, ma ha dato l’occasione al Primo Ministro italiano di rifiutare l’avvallamento dei diktat tedeschi e di mostrare mediaticamente il suo dissenso.
Non presentandosi alla conferenza dei capi di Stato, Renzi ha potuto prendere le distanze da un atteggiamento irresponsabile e inconcludente. L’Italia si era presentata al vertice a 27 con una serie di proposte concrete sul tavolo, dal migration Compact, con cui gestire i flussi dei migranti direttamente in Africa, a misure per l’allentamento del patto di stabilità e la cessazione del fiscal compact. Il rifiuto degli altri leader europei di ascoltare ha portato, tuttavia, maggiori svantaggi agli stessi e ha mostrato tutte le sue controindicazioni già nel voto di domenica a Berlino, che ha suonato il requiem definitivo del modello Grande Coalizione e che ha restituito uno scenario politico sempre più complesso.
In questo quadro, quanto è emerso in modo chiaro è la necessità impellente di una risposta di sinistra alla crisi dell’Unione Europea e per questo, i partiti socialdemocratici, se non vogliono finire vittima di se stessi, devono staccarsi al più presto dall’alleanza con i popolari, rivendicare un cambiamento delle misure economiche, rigettando il fiscal compact e le misure di austerità.
L’Italia sembra essersi messa su questi binari. Il percorso è ancora lungo ma era fondamentale cominciare. E questa indubbiamente è un’importante notizia.