Per strada, in scena al Teatro Franco Parenti dal 13 febbraio al 1 marzo è «un affresco divertente, e insieme tragico, dei trentenni di oggi, incapaci di trovare una collocazione nella vita e convinti dell’impossibilità di cambiarla».
L’apertura dell’alternativa
La logica – per lo meno quella classica – abitua l’essere umano, in quanto animale razionale, a comprendere la realtà secondo i due principi fondamentali: identità e non contraddizione. Questo schema binario, di primo acchito, si offre come strumento efficace, capace di conferire allo spaventoso caos circostante la forma più accettabile della diversità.
Tuttavia, affidandosi alla mera contrapposizione tra uguale e differente, si corre il rischio di appiattire il reale su questi due livelli, perdendo la stratificazione di cui naturalmente si sostanzia.
Se l’identico è l’uomo che vivendo fa esperienze diverse del mondo, queste non si collocano alternativamente alle sue spalle, se poco importanti, o in primo piano, se particolarmente rilevanti.
I tre piani della scena
Piuttosto la vita si offre secondo una tripartizione, in cui tra lo sfondo e la superficie si apre lo spazio mediano, che rappresenta il punto di vista di chi sa cogliere le sfumature, e non solo le opposizioni.
L’arguzia registica di Raphael Tobia Vogel ricrea attraverso l’immaginazione teatrale lo spazio della realtà umana, offrendo un ritratto icastico di due giovani trentenni. Per strada ricolloca la vita nella giusta prospettiva di azione: sulla scena divisa in tre piani, attraverso l’uso di uno schermo mediano e un fondale, la vicenda esistenziale gode della profondità che le spetta.
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Come il respiro vitale ritorna alla cassa toracica, attraverso un movimento introiettivo di inspirazione e una successiva apertura all’esterno grazie all’espirazione, così, situandosi nel mezzo tra fuori e dentro, si gioca la vita umana.
Il giusto mezzo
Tra ciò che appare e ciò che è nascosto, si apre lo spazio dell’alternativa. Il tertium datur è il segreto, lo spazio del cuore, non immediatamente visibile in superficie, né meramente relegabile in un altrove, ma sempre presente, lì dove si muove l’uomo protagonista della propria vita.
L’incontro tra due solitudini è l’occasione per esplorare le tre prospettive compresenti nella vita di ognuno. La scelta registica conferma e potenzia la tagliente finezza drammaturgica del testo di Francesco Brandi, in scena con Francesco Sferrazza Papa, nell’attraversamento straziante delle rispettive vite di trentenni in stallo, bloccati e incapaci di ripartire.
La scelta di un potente immaginario naturalistico come la tempesta di neve costituisce il paradossale punto di avvio di una dinamica scenica fervida e pungente. Il tempo scorre nel mezzo, nello spazio riscoperto del presente, che è luogo fisico e cronologico della consapevolezza di sé e della necessità di aprirsi all’altro.
Il ribaltamento dell’ironia
La passionalità verace della recitazione crea immediatamente un rimando allo spettatore: il quadro generazionale si offre come caso esemplare, poiché la complessità psicologica dei personaggi viene scandagliata senza alcun cliché, attraverso il sapiente uso dell’ironia tragica.
Il dialogo tra i due protagonisti si dipana con linearità, riuscendo a offrire al pubblico un’immediata possibilità di appiglio per seguire la vicenda. Per approcciare la gravità altrimenti insostenibile del racconto di animi tormentati, la comicità diventa strumento indispensabile, assumendo il ruolo di nuovo deus ex machina, nella tragicommedia della contemporaneità.
La perfetta combinazione tra più piani spaziali e due caratteri umani multiformi crea un gioco inesausto di punti di vista, incapaci di adattarsi alla mera contrapposizione, per ricercare nuove collocazioni che possano rendere giustizia al presente, nonostante sia destinato a soccombere.