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pensiero stupendo tradimento

Pensiero stupendo: un saggio sul tradimento

L'ultima opera di Luca Starita ha come oggetto principale il tradimento: perché è un tema ancora così dibattuto?

4 minuti di lettura

L’ultima opera di Luca Starita ci lascia piacevolmente sorpresi. Dopo Canone ambiguo – Della letteratura queer italiana edito da Effequ, lo studioso nato a Napoli nel 1988, laureato in Italianistica con una tesi sulla queerness nella narrativa di Aldo Palazzeschi, è scrittore, drammaturgo e specializzato in Digital Humanities – ci regala una ricognizione letteraria su uno dei temi da sempre più cogenti della nostra società, il tradimento, con quest’ultima opera Pensiero stupendo: un saggio sul tradimento, edito da Effequ (Firenze 2023).  

Come mai il tradimento resta un argomento così caldo? Fondamentalmente nella misura in cui siamo ancora una società piccolo borghese, capitalista e cattolica, ma soprattutto perbenista e radical chic. E forse questo rappresenta uno dei più grandi limiti nel non riuscire ancora a fare un salto di valore nell’accettazione delle diversità e nell’accoglimento di comportamenti storicamente considerati “sbagliati” o “devianti”. 

Non ci soffermeremo sul fare una ricognizione del libro, perché vi consigliamo sentitamente la lettura dello stesso, quanto più su alcuni punti salienti di questo saggio che ci sembrano davvero interessanti per una riqualificazione e una ri-significazione del termine e del conseguente comportamento del tradire. 

Nelle primissime pagine Luca Starita sostiene: 

Tradire, letteralmente, significa “consegnare oltre”, e più genericamente “consegnare al nemico”. Sono un convinto sostenitore del concetto per cui la lingua influenza le azioni e i modi di pensare, dell’affermazione per cui “nominare è creare”. E quindi quando un elemento di una coppia tradisce, si consegna al nemico con le proprie mani. Il terzo elemento, l’altrə, è concepito come l’avversario e la sua vicinanza provoca nella persona tradita rabbia, allontanamento, disperazione. Tradire è, quindi, una guerra. Ma anche la relazione, in fondo, è guerra. (p.21)

Tradire come essere in guerra

La relazione, che sia essa quindi socialmente ammessa o che sia un tradimento, è una guerra. Un conflitto implacabile in cui ammettiamo che il nostro “io” venga comunque e sempre messo in discussione. 

Nel saggio, infatti, emerge scomoda e assoluta la centralità dell’io. I personaggi delle opere letterarie citate sono in conflitto non solo con l’altro da sé, il compagno, la moglie, ma anche e soprattutto con se stessi. E il tradimento nasce da questo conflitto. 

Per gli esseri umani, infatti, risulta molto complesso esprimere appieno se stessi, al di là di ogni schema sociale; il tradimento, in quest’ottica, diventa il modo primario e più semplice per uscire da quegli schemi. 

Ciò nonostante, proprio perché la società e la cultura in cui siamo calati fin dalla nascita non smettono di esercitare una costante e irrimediabile pressione sulle nostre esistenze, dal tradimento proviene spesso un senso di colpa insopportabile che si traduce nella morte, come per Anna Karenina, Madame Bovary e altri noti personaggi citati da Luca Starita.

E per questo sono evocative le parole con cui l’autore chiude il primo capitolo: 

Proporre un mondo alternativo a quello che vivo, non per forza migliore, è il motivo fondamentale che mi spinge a scrivere. (p.31)

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Dalla letteratura al reale o di come il mondo della scrittura materializza il tradimento

Nella letteratura diventa tutto lecito, perché la scrittura è capace di creare mondi che possiamo sentire come nostri, assolutamente reali, anche se fatti solo “di parole”. 

È di fronte a questa evidenza che ci mette Luca Starita quando cita Quaderno proibito di Alba de Céspedes, romanzo del 1954.

Quaderno proibito è l’abitudine graduale alla propria cattiveria, intesa come distacco da una normalità e da una banalità della bontà considerata come l’unica caratteristica veramente umana. (p.95)

Ricollegandoci alle parole dell’autore, l’aggettivo “cattivo” deriva dal latino “captivus” che vuol dire “prigioniero”, “in gabbia”. 

Una persona cattiva, quindi, o una persona che fa i conti con la propria cattiveria, è una persona che è prigioniera di se stessa e delle convenzioni sociali. E la scrittura, quindi la creazione vera e propria di un mondo alternativo, rappresenta una valida via d’uscita e di rinascita. 

(…) desideri che nelle prime pagine vengono respinti con l’idea che siano impossibili, per poi vedere affiorare pian piano la convinzione, attraverso la scrittura e la parola, di renderli reali, insinuando sempre più i semi di una rivolta silenziosa che le permette di sopravvivere di volta in volta un giorno in più. (p.92)

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Con la protagonista del romanzo, l’autore apre la dimensione del tradimento a quella della scrittura: in un mondo in cui il tradimento è malvisto, perché comunque considerato lo scollamento da un patto, quello tra le persone che lo hanno contratto con una precedente promessa, la scrittura si pone come un modo per fuggire da una routine talvolta opprimente e riaffermare se stessi e il dominio indiscusso dei propri desideri e della propria individualità. 

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Il posto dell’io nella dinamica del tradimento

Ogni persona è un individuo unico, dotata di un proprio intelletto, ma soprattutto di una propria natura. L’equilibrio dello stesso sarebbe trovare un punto di incontro tra il vivere insieme agli altri e l’espressione dei propri desideri. Purtroppo è un’idea bella, ma non del tutto irrealizzabile. Il motivo è che spesso prevale il vivere sociale, il vivere insieme che diventa l’unico punto di riferimento dell’agire. E così gli esseri umani dimenticano piano piano ciò che sono. Ma quell’inconscio, quella natura, quell’Es trova i suoi modi di espressione, nonostante tutto. Uno di questi modi è il tradimento, che è prima tradimento di se stessi, o meglio dell’immagine sociale che si è costruita nel tempo. E poi delle persone che sono accanto, per questo «il tradimento è (…) una caratteristica discorsiva, un atto linguistico che consiste anch’esso nell’affermazione di un’esistenza rivoltosa» (p.90), come ricorda l’autore parlando di Le relazioni pericolose

Baluardo di questa salvezza dell’individualità, prima che il soggetto cada nel tradimento, c’è il libertinaggio, a cui Luca Starita dedica un intero e interessantissimo paragrafo del secondo capitolo: 

I libertini e le libertine si pongono in atteggiamento critico nei confronti, quindi, della politica, della religione e dei costrutti sociali in generali, in nome di una ragione individuale. (…) persone che hanno conquistato una profonda consapevolezza delle loro potenzialità e che, tentando di distaccarsi dalle emozioni e dallo spreco di energie che queste comportano a livello relazionale, si pongono in atteggiamento di sfida verso sé stesse e verso le società a cui appartengono. (p.87-89)

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Quale futuro per il tradimento?

Luca Starita riabilita il tradimento in quanto espressione di un sé troppo schiacciato dalle dinamiche di una società in cui la libertà è solo un appannaggio, una bella parola sulla bocca dei perbenisti. 

Il tradimento del proprio sé o anche quello delle persone a cui, comunque si vuol bene, è l’atto estremo di “io” che necessita voce ed espressione. 

Ovviamente la questione è dolorosa, perché la ferita si solca, è profonda, ugualmente in chi tradisce e chi viene tradito. E il suo superamento sarebbe possibile solo con una liberazione da vincoli culturali troppo rigidi per accogliere l’enorme complessità di un essere umano. 

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Anto D'Eri Viesti

A proud millennial. Dopo il dottorato in semiotica e gender studies decide di dedicarsi solo alle sue passioni, la comunicazione e la scrittura.
Copywriter e social media manager.
La verità sta negli interstizi, sui margini e nei lati oscuri.
Tanti fiori, cioccolato e caffè.

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