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Pensare la diversità (ovvero: come smettere di massacrarci a vicenda)

4 minuti di lettura
Premessa: questo scritto è una provocazione e come tale va letto. Il suo fine è di riflettere e far riflettere sulla nostra ipocrisia occidentale.
Io i jihadisti li capisco. Non li giustifico, sia ben chiaro, ma li capisco.
Provate a immaginare di essere trattati per secoli come foste degli esseri biologicamente inferiori, a metà fra scimmia e uomo;
provate a immaginare di essere governati da nazioni diverse che non ti ritengono in grado di governare autonomamente il territorio;
provate a immaginare di essere depredati dell’unica risorsa che possa garantire uno sviluppo economico alla vostra gente;
provate a immaginare di essere considerati selvaggi, barbari, incivili, sottosviluppati e provate a immaginare che ve lo si ripeta in continuazione;
provate a immaginare di essere costretti ad accettare i costumi che vi impone una potenza straniera.
Potremmo andare avanti ancora con questo elenco ma non è necessario, anche perché i jihadisti li capisco, ma non voglio con questo giustificarli.
La nostra presunta superiorità di occidentali civili, ogni volta che viene evocata, non può che far sorridere. Già: «Noi abbiamo una civiltà millenaria ricca di storia e cultura, che loro mai avranno». Non so quante volte mi è capito di imbattermi in frasi analoghe, in questi ultimi giorni. Bene: se qualcuno vi dicesse una cosa del genere, che si appartiene a una civiltà inferiore, voi non vi incazzereste? Io sì. E non vedo perché non dovrebbero farlo chi a cui questa frase è riferita. No?
«Noi abbiamo una civiltà millenaria ricca di storia e cultura, che loro mai avranno». Proviamo ad immaginare che questo enunciato sia riferito al mondo islamico e analizziamolo.
Il primo termine problematico è “noi”. Noi chi? Noi occidentali? Perché forse spagnoli, tedeschi, italiani, svedesi, inglesi, greci, francesi, statunitensi, lituani, polacchi, canadesi, portoghesi siamo tutti uguali?
Il secondo termine problematico è “civiltà”. Che cos’è una civiltà? Nel 2015 è lecito parlare ancora di civiltà? Civiltà è un termine antico ma che, nel XIX secolo, quando nacque l’antropologia, fu associato a cultura, intesa come insieme degli usi e dei costumi di un popolo. Parlare di civiltà in questo contesto significa dire che esiste una scala evolutiva unilineare su cui è possibile collocare le culture umane dalla meno evoluta alla più evoluta. Nel 2015. Che, poi, anche questo “evoluto”, in ambito sociale, cosa vorrà mai dire?
Il terzo termine problematico è “loro”. Per questo punto, vedere analogamente a “noi”. Marocchini, arabi, nigeriani, pakistani, algerini, senegalesi, indiani, afghani, uzbeki e così via sono tutti uguali? Facciamo attenzione a non confondere la religione con l’etnia e l’etnia con la nazione. Il mondo culturale umano è più variegato e fluido di quanto si possa immaginare e no, non lo dico io: lo dice l’antropologia.
Il quarto termine problematico è “che loro mai avranno”. Rimaniamo per comodità nel mondo islamico e prendiamo in esame l’impero arabo prima e ottomano poi. È ormai risaputo ad esempio che i numeri che noi usiamo sono inventati dagli arabi. Oppure consideriamo la Moschea Blu di Istambul. O, ancora, i filosofi Avicenna e Averroè, grazie ai quali conosciamo ancora Aristotele.
Si potrebbe ancora andare avanti ancora, ma meglio fermarsi qui, per non voler dare l’idea di giustificare i jihadisti (abbiamo considerato il mondo arabo/islamico, ma il ragionamento di fondo può essere applicato a qualsiasi altro universo culturale).
Insomma: se qualcuno mi dicesse che sono sottoevoluto, che non sono civile, che non ho una cultura, io mi incazzerei. Non siamo costretti a piacerci tutti a vicenda, sia chiaro, ma il rispetto non può mai venire a meno e per rispettare gli altri bisogna saper pensare la diversità. Purtroppo la maggior parte delle persone, sia occidentali che non, non vuole, o comunque non è in grado di, pensare la diversità. È più facile stigmatizzare l’altro, ghettizzarlo – sia culturalmente sia fisicamente – che apprezzare la diversità come momento di arricchimento.
Come si può pensare la diversità? Innanzitutto bisogna sapersi mettere nei panni altrui. Biologicamente gli uomini sono tutti uguali, questo ormai è assodato. Quindi anche gli altri uomini, da qualsiasi parte del mondo che vengano, hanno le nostre stesse facoltà intellettive. Non dobbiamo pensare che solo noi occidentali, superbi, possediamo un pensiero razionale.
Come ha mostrato l’antropologo britannico Evans-Pritchard, studiando la stregoneria e la magia degli Azande (tra Sudan e Congo) negli anni venti e trenta, anche le pratiche che a noi occidentali paiono oggi assurde possiedono una propria logica, coerente con l’insieme delle rappresentazioni di quella data cultura: da delle date premesse, seguono determinate conseguenze. Allora chi siamo noi per giudicare? Riconoscere questo è il requisito necessario per poter pensare la diversità e costruire una società realmente tollerante.
In seguito all’attentato a Charlie Hebdo, scrivevo che solo con la cultura si possono sconfiggere i fondamentalismi, perché è con cultura – come la intendiamo noi di iFdI – che si può pensare la diversità. I fondamentalismi di ogni sorta, religiosi come atei come etnici, sono la causa di tutti i mali. Mettendo radicalmente in questione i fondamenti dei fondamentalismi, tramite l’esercizio di una critica culturale, si può passare da un pensiero verticale ad un pensiero orizzontale, dall’assolutismo al relativismo. E il relativismo è la base per pensare la diversità: capire che niente è dato per sempre, che non c’è nulla di assoluto, ma siamo tutti uomini e, in quanto tali, continuamente costruiamo, distruggiamo e ricostruiamo ancora i sistemi simbolici e le culture.
 
Pensare la diversità ovviamente è un compito che non spetta solo all’Occidente: spetta a tutti. Spetta a tutti coloro i quali si sono stancati delle guerre inutili, del sangue inutilmente sparso, dell’intolleranza, del razzismo, dello sfruttamento occidentale del mondo. Perché, è bene ricordarlo, il fondamentalismo islamico, ad esempio, nasce come reazione al tentativo di occidentalizzare il mondo islamico. Così come noi saltiamo sulle barricate e siamo pronti anche ad andare in guerra di fronte alla presunta minaccia di essere islamizzati, così hanno fatto loro. Per questo capisco i jihadisti, anche se non li giustifico.
Se tutti imparassimo a pensare la diversità, il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore in cui vivere. Forse è utopia, ma non per questo non dobbiamo almeno provarci.

Michele Castelnovo

Classe 1992. Laureato in Filosofia. Giornalista pubblicista. Direttore di Frammenti Rivista e del suo network. Creator di Trekking Lecco. La mia vita è un pendolo che oscilla quotidianamente tra Lecco e Milano. Vedo gente, scrivo cose. Soprattutto, mi prendo terribilmente poco sul serio.

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