Nel suo capolavoro Quer pasticciaccio brutto de via Merluana, Carlo Emilio Gadda si avvale di fonti disparate, antiche e moderne, utilizzando un linguaggio che varia negli stili e nei registri, oscillando fra momenti di alto lirismo ad altri comico-grotteschi. Fra i tanti ingredienti di questo “pasticciaccio” letterario, particolare rilievo è dato da Gadda alla storia dell’arte: tante sono infatti le ecfrasi all’interno del testo, talvolta funzionali alla comprensione dello stesso svolgimento narrativo.
Il riferimento a «Zeusi e le fanciulle di Crotone» di Eleuterio Pagliano
Nel sesto capitolo del romanzo, descrivendo il seminterrato del laboratorio dove lavora la fattucchiera Zamira, il narratore ci offre la descrizione di un’oleografia «molto bella: un ber branco de ragazze gnude, a la visita medica, e un dottore cor pizzetto nero che le stava a guardà una per una, ma vestito da romano antico, senza occhiali, e invece co li sandali (VI.449-58)».
Si trattava, in realtà, della riproduzione di un quadro che l’autore all’epoca doveva conoscere molto bene, poiché conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, e cioè il dipinto Zeusi e le fanciulle di Crotone di Euleterio Pagliano. Qui si rappresenta un aneddoto riguardante appunto il pittore greco, che invitato dai cittadini di Crotone per dipingere un’Elena per il tempio di Giunone, aveva preso come modello le cinque donne più belle della città, copiando da ognuna ciò che aveva di perfetto. Il tema del bello ideale creato a partire dall’insieme di più modelli è allora ripreso da Gadda sapientemente per indicare proprio come, anche la sua scrittura, nasca dalla contaminazione dei vari tipi letterari della tradizione, selezionando e utilizzando le parti migliori di opere precedenti.
L’invenzione de «Il tabernacolo dei Due Santi»: chi è Manieroni?
La passione per la storia dell’arte di Gadda si manifesta poi ancor più esplicitamente nell’ottavo capitolo, del Pasticciaccio, in cui si ritrova la pagina più ambiziosa di tutte, ossia quella della descrizione di un’opera inventata ad hoc, il Tabernacolo dei Due Santi, mantenuta nonostante le pressioni contrarie dell’editore Livio Garzanti.
L’affresco viene prima descritto da un personaggio, Cocullo, che ne offre una presentazione elementare, riconoscendo che si trattava della raffigurazione di Santi – pur non identificandoli con precisione – grazie ad alcune caratteristiche come il nimbo, la veste, la barba bianca del più anziano, i mantelli corti sulle spalle.
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Una seconda descrizione, molto più complessa, viene offerta dal narratore, il quale si lascia andare anche a tecnicismi e riflessioni prettamente storico-artistiche, riconoscendo che si trattava dei Santi Pietro e Paolo, e rinvenendo nello stile dell’opera tratti della Sacra famiglia di Michelangelo e dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, dipinti che oltretutto rimandano a loro volta alla vicenda della maternità della protagonista Liliana.
L’artista del tabernacolo, un certo Manieroni, viene indicato come facente parte della grande tradizione italiana pittorica. Viene da chiedersi, allora, a quale pittore realmente vissuto si riferisca Gadda. Se inizialmente le ipotesi vertevano su Pontormo, lo stile barocco dell’edicola e il fatto che quest’ultimo fosse stato già citato nell’opera col suo nome storico, hanno fatto pensare a un’altra possibilità. Potrebbe difatti trattarsi di Caravaggio: nel tabernacolo San Paolo viene rappresentato senza barba, come quello folgorato sulla via di Damasco raffigurato dal Merisi. In effetti, quest’opera si trova sulla parete destra della cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma, proprio di fronte alla Crocifissione di San Pietro dello stesso artista.
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Caravaggio non viene citato esplicitamente nel Pasticciaccio, ma proprio questo legittimerebbe la sua presenza sotto pseudonimo, che a questo punto si caricherebbe di un messaggio ancora più forte: Manieroni per indicare colui il quale ha saputo superbamente superare il Manierismo.
L’arte della contaminazione nel «Pasticciaccio» di Gadda
Tanti altri ancora sono i riferimenti storico artistici presenti nel giallo gaddiano: da quello della Giuditta che decapita Oloferne, sempre di Caravaggio, per indicare e svelare la colpevolezza di Assunta, ad alcuni nomi utilizzati con diretto richiamo al mondo dell’archeologia, come nel caso di Diomede Lanciani, il cui cognome è lo stesso del celebre archeologo Rodolfo Lanciani, attivo nelle campagne di scavo dei Castelli Romani, solo per citarne alcuni.
In generale, sembra evidente quanto per Gadda l’arte fosse funzionale alla creazione della propria stessa arte, con un continuo gioco di rimandi e riprese che rendono il Pasticciaccio un unicum nel panorama letterario italiano.
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Bibliografia: Maria Antonietta Terzoli, Gadda: guida al Pasticciaccio, Carocci, 2016
Complimenti, bell’articolo da cui si ha uno spunto per viaggiare su internet all’infinito, solo cliccando “Gadda storia dell’arte” si apre un mondo che non si finisce mai di esplorare, questo lo dobbiamo a Gadda stesso, un scrittore che non sarà mai apprezzato abbastanza.