È uscito da qualche settimana un nuovo Quanto di Einaudi. I Quanti Einaudi sono una collana dell’editore torinese molto innovativa, pubblicata unicamente in digitale. In questa collana si pubblicano testi brevi di vario genere e di varie lingue, sia stranieri tradotti in italiano sia già nella loro genesi italiani. Carolina Capria trova spazio con un breve testo dal titolo Dalla parte di Cassandra.
Tale lavoro si può definire come un breve saggio che abbraccia diverse tematiche. Dalle anteprime soprattutto presenti sui social, sembra tratti maggiormente di sessualità femminile, mentre questa costituisce seppur una parte principale non l’unica tematica affrontata. Carolina Capria spazia infatti dal linguaggio alla storia del femminismo, definendo in breve alcuni concetti fondamentali di cui non trattiamo mai abbastanza.
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Come le donne vivono la sessualità
Ho imparato a compiacere e a soddisfare i desideri degli altri prima ancora di imparare a leggere e scrivere. Quali fossero il mio posto e il mio ruolo, l’ho compreso senza che nessuno me lo spiegasse, semplicemente osservando le azioni e le reazioni degli adulti intorno a me. Che i bisogni delle donne fossero meno importanti di quelli degli uomini, per esempio, l’ho capito stringendo la mano di mia nonna per attraversare lo stradone che portava a casa sua.
Incipit del libro
Il primo concetto rilevante su cui si basa il breve saggio di Carolina Capria si vede fin dall’incipit. È l’idea di desiderio: questo per le donne sembra riguardare non cosa provano loro, ma il desiderio che devono appagare. Questa idea passa per il linguaggio, se la applichiamo al sesso. Quando una donna ha un rapporto con un uomo, si usa anche tuttora il termine “dargliela”. Così, l’atto sessuale per la donna diventa quasi un dono, anzi, peggio, lo scambio di un bene.
Sempre nello stesso periodo scoprii che quando una ragazza aveva un rapporto sessuale si diceva che «la dava via». Il modo di dire era talmente radicato nel linguaggio da apparire innocuo e neutro, tant’è che anche noi ragazze eravamo solite usarlo durante le confidenze sulle prime esperienze. «Ho deciso di dargliela!», «Non gliela darò mai», «Forse dovrei darla», dicevamo, facendo nostro un lessico più adatto a descrivere una transazione commerciale e la compravendita di un bene, rispetto alla scoperta del piacere. E in effetti nessuno ci aveva mai insegnato che avevamo diritto al piacere e alla ricerca del piacere, mentre di contro era chiaro a tutte che «darla» significava perlopiù cedere al volere e alle azioni di un ragazzo.
Questa sezione del libro, particolarmente interessante e non a caso usata dalla stessa casa editrice per pubblicizzarlo sui social, generando un profondo dibattito, focalizza l’attenzione sul linguaggio, apparentemente. Tuttavia, lo usa per parlare di consapevolezza di cosa si vuole e comunicazione nell’ambito erotico.
Prima ancora della società esterna, è la stessa donna a non parlare del proprio piacere, a viverlo come subordinato al piacere di un altro e di fronte a questo Capria non fa di certo una colpa a nessuno, ma spiega come nessuno abbia insegnato a porsi in maniera diversa.
Molte delle conversazioni che avevo con le mie amiche vertevano proprio sulla scelta di assecondare le richieste dei ragazzi ad avere rapporti intimi, ma mai sulla nostra volontà di averne o meno. Non parlavamo dei nostri desideri, perché desiderare per noi voleva dire innanzitutto desiderare di essere desiderate. La scoperta del sesso avveniva attraverso lo sguardo che si posava su di noi, era la risposta a una richiesta, una mediazione, e mai una domanda, perché nessuno ci aveva mai insegnato le parole necessarie a porcela.
Dal consenso all’educazione sessuale
È chiaro che, come hanno messo in evidenza altre autrici (pensiamo ad esempio ad Alice Urciuolo con Adorazione), l’educazione sessuale è ciò che serve a risolvere questo problema. Carolina Capria parla in prima persona anche di scene che vedeva in TV, come al Grande Fratello (soprattutto nelle parodie della Gialappa’s, non fruendo per suo gusto del programma TV direttamente), dove sembrava che il concetto di consenso non trovasse spazio.
All’epoca non si parlava di consenso, era una parola che veniva usata unicamente in ambito giuridico e politico, e non nella sfera sessuale, ma di recente sono tante le persone che hanno provato a interrogarsi su questo concetto ancora acerbo.
È qui che, per quanto breve, il testo si tinge di una attualità disarmante. La riflessione sul ruolo della donna nel sesso è fondamentale. Qui si basa sul fatto che chiunque (uomini, donne) abbia diritto a cercare cosa gli piace e cosa vuole fare, con un filo rosso a unire tutto: il consenso.
Dalla parte di Cassandra
Da qui l’autrice tratterà brillantemente, seppur brevemente, di femminismo e stupro. Citerà diverse storie, lo slogan «No means no», non banalizzando mai alcun concetto. Se così recita lo slogan femminista, Carolina Capria aggiunge che «per dire di no si deve innanzitutto essere messe nella condizione di poterlo fare». Da qui allora l’importanza di denunciare e di essere credute.
Qui si rivela anche il titolo. La storia delle donne è la storia di Cassandra poiché rappresenta non solo una donna che non viene creduta, ma anche una donna che paga le conseguenze di aver preso una posizione: aver rifiutato di concedersi. Secondo una delle versioni del mito, Apollo le diede il dono della preveggenza in cambio del suo amore, ma lei rifiutò di concedersi a lui. Per la rabbia, Apollo le sputò sulle labbra e attraverso quel gesto la condannò a mantenere il suo dono, ma senza essere mai creduta.
Il gesto fisico dello sputo della labbra, seppur non analizzato da Capria nel dettaglio, è sicuramente un’allegoria calzante del rapporto donna-uomini-consenso. Molte donne, come Cassandra, seppur nella verità dei fatti raccontati, e anche nella legittimità dell’affermazione dei loro desideri, subiscono le conseguenze della consapevolezza della propria sessualità.
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