Per lungo tempo casa Leopardi ha avuto un solo inquilino degno di nota: Giacomo. Gli altri membri della famiglia sono stati (e spesso sono tutt’ora) considerati solo in relazione al genio dell‘Infinito; questa è la sorte della dimenticata per eccellenza, Paolina Leopardi, l’amata sorella e prima copista del poeta.
Gli studi su di lei hanno puntualmente scarsa diffusione e molti suoi manoscritti (diari e vari carteggi) sono ancora inediti o addirittura riservati, custoditi gelosamente dai discendenti di casa Leopardi.
Questa però è la fine della storia: torniamo all’inizio e vediamo perchè questa donna merita di uscire dal cono d’ombra del fratello e di essere ricordata.
La sorella nascosta
Non esistono opere originali di Paolina Leopardi; di lei ci restano solamente le traduzioni (era un’abilissima conoscitrice del francese) e le lettere ai parenti e alle due amiche. Ciononostante, è sbagliato, nonchè profondamente ingiusto, paragonare l’attività intellettuale di Giacomo e Paolina; di gran lunga più ridotta per via della loro inevitabilmente diversa condizione sociale.
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Certo, Giacomo e Paolina Leopardi hanno condiviso la reclusione e (in modo alquanto moderno) anche gli studi. Alla fine però Leopardi è riuscito a fuggire da quel paterno ostello amato e odiato, Paolina no. Ha continuato ad essere nascosta dalla madre e dal fatto stesso di essere donna.
Paolina riuscì a viaggiare (pochissimo) solo dopo la morte della madre, a 57 anni. Inutile dire che nelle stesse condizioni anche il più grande genio non sarebbe stato in grado di esprimersi pienamente; così privo di stimoli esterni, sia a livello intellettuale che umano.
Molto spesso Paolina Leopardi viene liquidata dicendo che le riflessioni contenute nelle sue lettere sembrano copiate direttamente dallo Zibaldone, così simili nel contenuto e nello stile. La risposta (che però non viene data) è che le anime di Paolina e Giacomo erano simili, come entrambi riconoscono nelle lettere. Due anime affini, in simili circostanze di vita, segnate dalla stessa malinconia e dagli studi comuni, non potevano che giungere alle medesime conclusioni esistenziali.
Libera da ogni categoria
Non bisogna però gettare Paolina nel calderone del femminismo. Perlomeno non a priori; come spesso si fa (fortunatamente non sempre), considerando femminista tutto ciò che ha a che fare con le donne.
Di certo le lettere di Paolina contengono riflessioni estremamente moderne, soprattutto se scritte da una donna priva di contatti all’infuori dalla sua casa-liceo.
Paolina tenta vari matrimoni di interesse, unica via di fuga dalla casa-prigione, ma si accorge di non essere disposta a farlo e non si sposerà mai.
Così parla di uno dei suoi pretendenti: «E poi egli non conosce la letteratura e io dovrei passare la vita con uno, cui non potrei dir mai nulla».
Eppure, non può considerarsi propriamente femminista. Pur essendo una donna moderna, Paolina non è quasi sicuramente entrata in contatto con i primi ideali femministi per due motivi. Il primo, perché non è mai uscita di casa; il secondo, perché Recanati si trovava all’epoca nel protetto ed isolato Stato Pontificio.
Paolina, forte dei suoi studi, era cosciente della sua condizione di inferiorità sociale rispetto ai fratelli e la contestava. Ma, proprio perché non entrò mai in contatto con il femminismo propriamente detto, la sua riflessione sui diritti assume un valore esistenziale: tutti gli esseri umani hanno il diritto di vivere la propria vita, le proprie capacità intellettuali, liberi dalla famiglia e dalle convenzioni.
Ed è questo che rende il pensiero di Paolina Leopardi degno di essere ricordato, perché l’aspirazione dell’essere umano alla realizzazione personale non ha bisogno della categoria del “femminismo” per rappresentare l’anima profonda dell’esistenza.
Una stanza tutta per Paolina
Queste riflessioni non ridimensionano l’immenso contributo di Giacomo Leopardi alla letteratura. Giacomo è e resta la chiave di volta della nostra poesia e della nostra cultura, ma questo non vuol dire dimenticare o, ancor peggio, fraintendere il contributo di altre figure (nel loro più o meno limitato campo d’azione).
Leggendo la storia di Paolina è impossibile non ricordare il discorso sull’immaginaria sorella di Shakespeare, a cui Virginia Woolf dedicò una delle pagine più conosciute e belle di Una stanza tutta per sè.
Esattamente 60 anni dopo la morte di Paolina, nell’amara riflessione della Woolf, l’immaginaria sorella di Shakespeare, geniale quanto il fratello, si ritrova inevitabilmente annientata dalla sua stessa condizione di inferiorità sociale. Come Paolina.
Per quanto riguarda la natura e la portata del suo genio (che fosse inferiore, pari o superiore a quello di Giacomo), quella non potremo più conoscerla.
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