Ombrelloni a perdita d’occhio, palette e secchielli, creme solari e costumi da bagno. Aggiungiamo il disordine della spiaggia, il caldo rovente, la casualità di un gelato caduto per terra e un cane con gli occhiali da sole.
Come possono questi elementi, tipici di una giornata balneare, rilassante e imprevista nello stesso tempo, diventare gli stessi elementi, graffianti e ironici, per descrivere la società moderna?
«The Last Resort» di Martin Parr
Martin Parr, fotografo con radici inglesi, senza l’uso delle parole è riuscito negli anni a creare una nuova lente per leggere la modernità – quella realtà bruciata sotto il sole – fino a diventare in breve tempo tra i maggiori esponenti della fotografia contemporanea.
Nato nel 1952 a Epsom, piccolo sobborgo a sud di Londra, con il progetto The Last Resort prende l’identità londinese in vacanza e la stravolge. Le sue sono immagini ricche di sarcasmo pungente. Infatti il fotografo afferma: «è impossibile essere ironici senza conoscere, e in qualche modo amare, l’oggetto della propria ironia».
The Last Resort è il suo successo, nonché la vittoria dell’uomo moderno in ciabatte. Il tempo dell’uomo si riduce all’uso, buono o cattivo, della sua libertà: più che una folla intenta a fare il bagno, vediamo un bagno di folla che si riversa nel suo centimetro libero di sabbia.
È la realtà sincera del bagnasciuga di New Brighton, il ritratto di quella classe lavorativa inglese stanca di un lungo anno seduta alla scrivania e che, finalmente, ha il suo relax tanto desiderato.
Per Henri Cartier-Bresson, Martin Parr veniva da un altro pianeta. Ed è proprio questa l’impressione che proviamo davanti ai suoi scatti schietti e puliti di una semplice giornata assolata.
Con l’amore per l’uso del flash anche di giorno – per annullare le ombre lunghe dai volti – Parr descrive le giostre, il sole della piscina e quello del mare fino al dispenser del ketchup o alla lattina di Coca Cola. Fotografie oneste e vere, mai sciatte come possono sembrare al primo sguardo.
È un mondo da incubo, viscido e claustrofobico, dove le persone sono immerse tra confezioni di patatine e nuotano in pozze nere e inquinate scrutando un fosco orizzonte di degrado urbano.
Robert Morris
Il fotografo in questo caso non vuole trovare l’ordine nel caos ma raffigurare il disordine proprio così com’è.
L’ordinarietà immortalata
Spiega Parr in un’intervista con Martin Gayford:
Credo che la vita ordinaria sia molto più interessante di quanto la gente pensi, la familiarità tende a generare disprezzo, ma un supermercato o un centro commerciale possono essere luoghi davvero straordinari. Però non mi aspetto che la mia fotografia cambi un bel niente, sarebbe talmente ingenuo da parte mia, una volta la gente lo diceva, adesso non più.
Si consacra così a una leggerezza che distingue Martin Parr dai classici «fotografi umanisti» che la Magnum aveva plasmato e nei quali dominava l’etica come lettura della società, quella connotazione che cercava di arrivare a una soluzione delle ingiustizie sociali attraverso una forte denuncia.
Le regole vengono ancora una volta stravolte, l’inquadratura e lo sguardo a volte possono coincidere senza seguire un preciso standard. La cosa bella della fotografia forse è proprio questa: che le regole più che giuste possono essere infrante e disattese; un’immagine può funzionare anche se nessuno sa per quale motivo.
L’identità di New Brighton così descritta è densa e compatta, come le sue inquadrature che tendono a escludere il luogo, mettendo in risalto i soggetti, nella veridicità dei loro gesti, nella naturalezza di un imprevisto o ancora in un dettaglio scontroso. Il turismo di massa immortalato tra riti sociali li trasforma in una commedia dell’assurdo.
Petrut Calinescu sul Mar Nero
Lontano dall’Inghilterra balneare ci ritroviamo sulle coste del Mar Nero, propaggine del Mar Mediterraneo tra la penisola balcanica, la costa russa e caucasica e quella dell’Anatolia, con Petrut Calinescu, fotografo contemporaneo di origini rumene.
Non è il colore nero delle sue acque ad avergli dato questo nome bensì – già dagli antichi greci – l’inospitalità dovuta anche alla compresenza di etnie, religioni e culture opposte che da sempre sono stati in contatto tra loro, per scontrarsi o per cercare di comunicare.
Petrut Calinescu si inserisce nel filone della fotografia balneare prima citata, se così la possiamo chiamare, ampliando il suo significato: togliendo paletta e secchiello le immagine sono caricate dei caratteri simbolici di quel mare e di quei popoli.
Anch’esse istantanee ricche della giusta ironia e casuale naturalezza, le fotografie di Calinescu entrano nel vivo della vita dei popoli affacciati su questo mare “oscuro”, popoli di diverse origini e tradizioni: europea, asiatica e del Medio Oriente. Una mixitè di etnie e colori che nei giorni estivi colorano le spiagge, a volte di sabbia, altre di cemento.
Con queste fotografie non troviamo il turista di massa con la Coca Cola sulla sabbia. Il punto forte di questi scatti sta proprio nelle differenze sociali o di nazionalità, quelle stesse differenze che nel sogno comune della settimana di vacanza sulle rive del Mar Nero si annullano. Magari nuotando con il proprio cavallo, o ballando nelle piccole tenute sulla costa.
Quello di Petrut Calinescu è un viaggio intimo tra più culture bagnate tutte dallo stesso mare che diventa il loro punto in comune.
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