I delitti contro le donne in Pakistan – come nel resto delle società, islamiche o meno – rimangono consistenti, dalle dilapidazioni all’acido che sfigura il volto per la sola colpa di esser donna. Fortunatamente non mancano storie di resistenza di rivendicazione (e non solo difesa) dei diritti, contro ogni violenza di genere. È il caso di The Fearless Collective (in italiano il collettivo senza paura), un progetto nato nel 2012 grazie all’indiana Shilo Shiv Suleman, designer impegnata affinché si utilizzi l’arte come reintegro sociale per gli emarginati. La fondatrice, poi, ha stretto una collaborazione con l’attivista pakistana Nida Mushtaq. Le due, ora, intendono raccontare pubblicamente i dolori propri di intere comunità attraverso i murales. Presenti già sui social network, la Mushtaq e la Suleman puntano, inoltre, ad un rapporto diretto con i cittadini dei paesi dove scelgono di creare le loro opere – come si legge nel profilo Facebook, sono più di 400 gli artisti coinvolti lungo l’India, il Nepal e il Pakistan. È l’eredità, insieme alla paura, il concetto che muove la loro attività, rivolta ai rapporti tra generazione e generazione, tra madri e figlie, per affermare che anche il Pakistan è fearless.
A.P.
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