Non è cosa facile scrivere di Lucio Battisti, artista eclettico, vero e proprio rivoluzionario della musica leggera italiana, idolo pop, ma al contempo personalità solitaria e intimista. Sarebbe davvero impossibile ripercorrere tappa dopo tappa i momenti più significativi della sua carriera, a partire dagli esordi nel ’64 con la band I Campioni, fino agli anni ’90 quando Battisti si spegne in Brianza, quella «Brianza velenosa» di cui cantava in Una giornata uggiosa.
Ciò che ha colpito di Lucio Battisti sin dagli esordi è la sua grande capacità tecnica: il suo stile innovativo alla chitarra, che si rifà al folk americano e al rythm and blues, è ciò che fa colpo sui suoi primi produttori, insieme alla sua straordinaria capacità compositiva.
Nel corso della sua lunga carriera Battisti non smetterà mai di dare prova di questa sua dote, unitamente a quel particolare modo di cantare, al limite del falsetto, così sottile ma allo stesso tempo in grado di trasmettere emozione. Tutte le sue composizioni sono di grande impatto a livello musicale, a partire dalle più semplici, come Un’avventura, brano frizzante di gusto squisitamente “sanremese”, fino ai virtuosismi di Vento nel Vento, Il mio canto libero e I giardini di marzo, solo per citarne alcune.
Nonostante la sua straordinaria capacità compositiva, tutti quelli in contatto con Lucio Battisti concordano sul fatto che la sua vena scrittoria fosse alquanto carente: i suoi primi pezzi, proposti ai locali milanesi nel ’64 modulati sulle prime canzoni dei Beatles – che sono insieme a Bob Dylan e al folk americano “fonti” per il giovane Battisti – sono infatti estremamente banali a livello di testo. La soluzione al problema porta il nome di Giulio Rapetti, meglio noto come Mogol, di cui Lucio Battisti fece la conoscenza tramite una produttrice francese: «Non rimasi favorevolmente impressionato da lui […] ma gli dissi che qualche volta avremmo lavorato insieme, non per produrre canzoni ma per fare degli esperimenti», ha affermato Mogol.
Ed è così che fra il 1967 e il 1968 cominciano a venire a galla i primi veri successi: Battisti mette a disposizione le sue capacità di compositore e il suo particolare timbro vocale per dare corpo a testi di una liricità nuova, incentrata sulla dimensione privata ed intima, sulle situazioni quotidiane. E così prendono forma nella mente dell’ascoltatore, quasi come davanti ad uno schermo, scene di vita di tutti i giorni: un uomo qualunque che seduto in un caffè cerca di scordarsi una storia passata che all’improvviso si innamora di nuovo («Seduto in quel caffè / io non pensavo a te / […] Poi d’improvviso lei sorrise» – 29 settembre); i “conflitti” interiori di chi si domanda se davvero sia possibile l’amicizia tra uomo e donna («Ma che disastro, io mi maledico ho scelto te una donna per amico!» – Una donna per amico) solo per citarne alcune tra le più famose.
Oltre alla quotidianità, il duo Mogol-Battisti offre all’ascoltatore picchi di lirismo straordinari, come nella famosa I giardini di Marzo, pezzo destinato a segnare la memoria collettiva degli italiani per decenni: è un brano sull’incapacità di comunicare, sulla solitudine, sulla ricerca di qualcosa che riempia la quotidianità. I toni sono quelli di un rassegnato pessimismo («L’universo trova spazio dentro me/ma il coraggio di vivere quello ancora non c’è»), cui si affiancano immagini fortemente malinconiche ed evocative («Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti/Il più bello era nero con i fiori non ancora appassiti»).
Dalla quotidianità più spensierata all’introspezione, la produzione battistiana si presenta, a livello di testi e tematiche, un amalgama di situazioni, che trovano un corrispettivo sul piano musicale: estremamente geniale e variegata, la sua vena compositiva subisce l’influenza della musica straniera già a partire dall’album Amore e non amore, in cui sono evidenti sonorità folk e progressive, per culminare poi nell’album Anima Latina, nato dall’esperienza di Lucio Battisti in Brasile, dove l’autore entra in contatto con universi musicali che gli permettono di espandere ulteriormente la propria arte. L’album, dalle sonorità nuove, pop e ritmate tipiche della musica latino-americana, lascia però spiazzati gli estimatori del primo Battisti che si aspettavano da Lucio l’ennesima grande hit.
La carriera di Lucio Battisti è dunque quella di un cantore che sperimenta con la musica in un continuo oscillare tra due poli opposti: quello della canzone pop italiana e quello della sperimentazione. Restano nella memoria collettiva alcuni indimenticabili classici, La canzone del Sole, Emozioni, Fiori Rosa Fiori di Pesco, oltre ai brani già citati in precedenza: sono composizioni potenti, che hanno segnato un’epoca evocando immagini in cui quasi tutti abbiamo potuto riconoscerci. Resta anche il coraggio di un artista che, pur consapevole delle richieste del mercato discografico, non smette mai di sperimentare e di proporre ai suoi ascoltatori soluzioni per tutte le orecchie, fruibili su più livelli e in grado di accontentare tutti i gusti. Rimane, soprattutto, una discografia ampia, che con 20 album pubblicati, costituisce una pagina importantissima ed imprescindibile della musica leggera italiana, che ha posto le basi a nuove sonorità e tematiche.
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