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Oggetti familiari: la Cina tra luoghi interni ed esterni

Il progetto fotografico di Huang Qingjun lo porta a viaggiare per tutta la Cina, ma i protagonisti dei suoi scatti sono gli oggetti quotidiani.

5 minuti di lettura

«Nascere è come entrare in un edificio. Chiudersi in un edificio senza finestre per guardare fuori. Stando chiusi dentro un edificio, dopo un po’ ci si dimentica com’è il mondo fuori». (Chuck Palahniuk)

Esiste un modo per descrivere realmente il Paese in cui si nasce? Ci sono una serie di parole, o immagini, che potrebbero essere proposte come espressione della rivoluzione culturale in atto nella propria terra? Sicuramente la Storia ci insegna quanto questi tentativi non possano mai diventare una descrizione oggettiva e univoca della realtà, che le parole quanto le immagini possano fungere da mezzi complementari di lettura, trasposizione e interpretazione. In questo senso sono molti gli autori, scrittori, fotografi e artisti diventati la lente di ingrandimento perfetta su mondi quasi impalpabili. Mondi che acquistano una certa materialità nelle opere degli autori, fino a diventare una realtà immediatamente percepibile.

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Senza tentare inutili interpretazioni e senza avere pretese eurocentriche, mentre nel mondo la percezione dell’equilibrio dei “poteri” cambia a ritmi serrati, il correre tumultuoso del popolo Cinese scrive e cancella la Storia, ridisegna piazze, cambia quartieri, in ogni suo gesto segna un passaggio, un contrasto tra un esplosione verso la modernità e un ancoraggio alle radici del passato. Per fare questo, per cercare un approccio a una dimensione così lontana, per provare a svelare cosa si nasconde dietro i numeri trionfali di uno sviluppo tanto rapido quanto sbilanciato, c’è lo sguardo di chi cinese lo è da generazioni. Cinesi contemporanei che, in virtù del luogo di nascita, possono essere scaraventati in epoche diverse. Espressione di un’antica modernità che questo popolo sembra portare negli occhi, negli oggetti e nelle tradizioni. Un’epoca distante, assente e concentrata nello stesso momento.

La Cina in dieci parole, scritto da Yu Hua nel 2012 ed edito in Italia da Feltrinelli, rivela lo svuotamento di senso della parola “popolo” dopo Tian’anmen, come uno stillicidio lento l’insospettabile fallimento delle Olimpiadi di Pechino, la tragedia dei venditori abusivi, l’orrore delle demolizioni forzate e un paese dove non esistono più leader. Il suo è uno sforzo magistrale e illuminante di come, da vicino, si possano davvero toccare i punti nevralgici di una civiltà con l’uso della semplicità di dieci parole chiave, dalle più antiche e storiche a quelle più recenti. Parole svalutate, riscoperte, rinnovate e perse. Non un senso invettivo nella sua opera, piuttosto un elogio appassionato al cambiamento del suo popolo.

© Huang Qingjun
© Huang Qingjun

Così, se il suo libro è in grado di diventare un coraggioso vademecum del pianeta Cina, le immagini di Huang Qingjun 黄庆军, tra i luoghi più remoti della Cina contemporanea, trovano il modo di portare l’importanza delle cose, davanti ai nostri occhi. Family Stuff è il progetto che porta la sua firma e la fatica di un decennio di scatti, ricercati e meditati, dove nulla è stato lasciato al caso. Huang è nato 44 anni fa nella città petrolifera di Daqing, ora è attivo a Pechino.

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Risale alla terminologia inglese con la scelta e l’uso di stuff, parola declinabile come “la roba”, riconducibile a un elemento materiale, rimanda anche alla sua sostanza, al farcire, imbottire quindi a una dimensione interiore, intima e satura di quello stesso oggetto. Uno strato interiore fatto di oggetti, quasi come se gli edifici fossero involucri di storie.

© Huang Qingjun
© Huang Qingjun

Sono proprio gli artefatti delle attività umane i protagonisti: dalle opere d’arte vere e proprie agli oggetti di uso quotidiano e tutto quanto fa riferimento alla cultura materiale, al sapere necessario per vivere, diventano tutti elementi essenziali. Oggetti e opere d’arte, nella stessa immagine, con lo stesso scopo e soprattutto con la stessa valenza estetica e culturale.

La grande capacità del fotografo cinese si mostra nelle case spogliate delle loro interiora, nelle storie degli oggetti portati all’esterno, in strada. La casa, il centro del mondo per la maggior parte delle culture – con il suo interno connotato come luogo di accoglienza, introiettato come un rifugio – viene così esposta, riportando in vita quello che c’è e descrivendo luoghi sospesi e persone dai tratti imprecisi, come se ricercassero nello sguardo dello spettatore lo stimolo per dar loro compiutezza.

© Huang Qingjun
© Huang Qingjun

Il risultato è offerto da scorci di vita di cinesi ordinari e straordinari che, a prima vista, sembrano essere travolti dalla stessa modernizzazione uscita delle pagine di Yu Hua. Ci mostra l’enorme cambiamento sociale che è avvenuto in una sola generazione, così la fotografia di una coppia di anziani agricoltori, seduti all’esterno della loro casa di fango, rivela una parabola satellitare e un lettore DVD.

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© Huang Qingjun

Anche la vita fotografica di Huang, legata alla macchina fotografica – vista proprio come oggetto, prolungamento del suo braccio e continuazione del suo occhio – lo ha ispirato da quando aveva diciotto anni, forse da prima, quando la macchina fotografica diventa l’elemento più prezioso per lui e per la sua famiglia. L’idea per la sua serie sui beni materiali delle persone, in cinese Jiadang (Family Stuff) è iniziata nel 2003 con alcune fotografie scattate per National Geographic. Ma il progetto non è stato pienamente apprezzato da subito fino a quando, tre anni più tardi, Huang ha iniziato a viaggiare per la Cina alla ricerca di luoghi e persone adatte.

«La maggior parte delle persone pensava che il progetto che stavo proponendo non era del tutto normale, non capivano il punto, così ho proseguito per la mia strada».

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Così alcuni dei progetti hanno portato il fotografo a lavorare per un paio di giorni, mentre in altri casi per gli scatti sono stati necessari diversi mesi.

Questa è l’esemplificazione delle demolizioni controllate che hanno investito tutto il paese. La coppia seduta sul proprio letto alle spalle ha un muro contrassegnato con il carattere cinese chai ovvero “abbattere“. Il fotografo descrivendo questa immagine spiega come, nonostante l’assurdità della situazione (uguale e riproposta per milioni di cinesi) è allo stesso tempo la rappresentazione di una giornata felice, perché i protagonisti hanno finalmente ricevuto il risarcimento chiesto da tempo.

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© Huang Qingjun

Il progetto di Huang non lascia niente al caso: in questi anni lo ha portato in 14 delle 33 province cinesi, dandogli l’insostituibile prospettiva di come il suo paese stia cambiando. «I problemi maggiori nelle aree rurali oggi sono legati all’istruzione e alla sanità, ma sono ottimista su questo cambiamento in atto, a qualcosa porterà» dice in un’intervista alla BBC.

Molte fotografie sembrano così catturare qualcosa che sta per essere perso. Famiglie incorniciate da case e un senso di rinnovamento o di completa dispersione.

© Huang Qingjun
© Huang Qingjun

Negli oggetti la preponderanza degli utensili da cucina insieme alla scarsità di vestiti e di oggetti di svago suggeriscono uno stile di vita rovesciato. La maggior parte delle famiglie ha una televisione, alcuni anche una lavatrice, mentre la macchina da cucire, sogno di ogni casalinga del passato recente, viene spinto verso il retro in alcune fotografie. Anche la disposizione degli oggetti non è lasciata al caso. Per una volta si può parlare di “cose” senza avere il dubbio linguistico di non riferirsi a niente o a una categoria troppo ampia.

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© Huang Qingjun

Immagine e parola, libro e progetto fotografico diventano così racconto, autobiografia, romanzo e strumento di registrazione per un cambiamento e per un popolo che corrono tra passato e futuro.

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© Huang Qingjun

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Fausta Riva

Fausta Riva nasce in Brianza nel 1990.
Geografa di formazione(Geography L-6) poi specializzata in fotografia al cfp Bauer.
Oggi collabora con agenzie fotografiche e lavora come freelance nel mondo della comunicazione visiva.
Fausta Riva nasce sognatrice, esploratrice dell’ordinario. Ama le poesie, ama perdersi e lasciarsi ispirare.

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