«Nudo di donna si ma
Gianmaria Testa, Come l’America,
Nudo di donna però
un po’ il rosso, il giallo e il blu
che sanno d’Africa
E vorrei averti dipinta io
Si a mano libera»
Nella fotografia d’autore niente è ascrivibile a un solo termine o a un solo concetto. Difficilmente la concettualità fotografica può essere descritta con un’operazione di estrazione della realtà, e sempre con difficoltà ci troviamo davanti a un autore così completo da poterlo contrassegnare con l’utilizzo di un solo concetto. Nelle foto di Franco Fontana abbiamo il privilegio di entrare nella dicotomia tra forma e colore semplicemente con uno scatto, come se fosse la doppia faccia della stessa medaglia.
La sua carriera inizia a metà degli anni ’60, in piena epoca di celebrazione del bianco e nero, irrompendo controcorrente con il geometrismo del colore. Dai primi scatti, nell’universo di Franco Fontana il colore fa sempre da padrone. Le proporzioni, la prospettiva, la verità: tutto si piega alla centralità del colore e delle forme che disegna.
«Quando mi chiedono, perché hai scelto il colore? Rispondo, per una sensazione fisiologica», dice Fontana. Nell’era del dominio della scala dei toni monocromatici, egli abbaglia con il suo colore e con quelle impostazioni grafiche che preannunciano la sua capacità astrattiva ed estrattiva.
Stiamo parlando di uno dei protagonisti assoluti della fotografia italiana dal dopoguerra. Siamo di fronte a fotografie di nudo di donna che non tentano di presentarci la realtà così com’è, bensì la interpretano, la rileggono, trasformandola secondo un vedere fotografico fortemente legato alla sua consapevolezza, fino ad arrivare all’esaltazione delle geometrie e dei dettagli, ben quarant’anni prima dell’avvento di photoshop.
«La realtà è lì a disposizione di tutti. È come il marmo, ci puoi fare un posacenere o la Pietà di Michelangelo, dipende da chi sei. Alla fine la fotografia è il fotografo, riprende il pensiero di chi la scatta, parla di lui. Quando fotografi è una parte di te che vai a raccogliere. E non è importante come fotografi, ma perché lo fai».
I suoi scatti, rassomiglianti di più a quadri di Vasilij Kandinskij o di Paul Klee, rappresentano anche qualcosa di prettamente rinascimentale: questa presunta assimilazione con la loro pittura è negata dallo stesso autore; per lui infatti la fotografia non può essere astratta, se mai sono la mente e l’occhio del fotografo ad esserlo, diventando utopistici mentre guardano un particolare, tagliando ed escludendone delle parti.
Nella sua lunga carriera, l’uomo dei paesaggi dipinti, quasi scolpiti tra le geometrie collinari e i tessuti urbani, non si è limitato a fotografare le curve del paesaggio ma, in questi scatti di nudo di donna, è riuscito ad entrare magistralmente nella sinuosità dei corpi femminili, raccontandone senza volgarità la dolce castità.
Nel suo progetto Piscina il nudo di donna acquista ritmo grazie a giochi di linee, luci e piani sovrapposti. La realtà è estesa e i particolari inattesi giocano con le associazioni cromatiche nuotando nel chiarore dell’acqua.
Se la sensualità è riconducibile alla materialità, al desiderio e alla carnalità, Franco Fontana riesce invece a riempire di purezza anche le forme più inattese. Non sono solo scatti di nudo di donna, sono ritagli accurati di curve corporee da cui volutamente sono esclusi i volti, che diventano scrittura del corpo inserita in un ambiente.
Come definire il nudo di donna di Fontana? «Direi classico, riconoscibile» – usando le parole dello stesso autore – «in esso cerco di metterci eleganza e pulizia».
Dagli anni Ottanta il fotografo inizia anche un percorso parallelo dedicato strettamente all’utilizzo artistico della Polaroid. Le tematiche rimangono inalterate, si va dai paesaggi urbani e naturali alle famose e poetiche immagini di ombre titolate Presenza assenza, passando per i nudi.
Qui i nudi ambientati trovano un’altra forma espressiva dove Fontana scompone, taglia e seleziona compiendo un lavoro da taglia-e-cuci che arriva allo spettatore carico di contrasti: l’accostamento del nudo di donna a grandi opere artistiche o, nella stessa serie, fuso con il simbolismo delle grandi multinazionali.
Le sue foto di nudo di donna, studiate, raccontante e poi ritagliate secondo dettami personali e puramente intuitivi, hanno spalancato l’universo della concettualità fotografica verso un linguaggio che, superando le parole, va verso l’anima segreta della realtà. Seppur di piccolo formato, questi lavori realizzati da Fontana riescono con semplicità a diventare dei grandi quadri, in cui perdersi alla ricerca del dettaglio.
Con Franco Fontana siamo collocati all’interno dell’anello di congiunzione tra forme e colore, dove essi diventano immagine fotografica e dove l’immagine è una spinta verso l’immaginazione.
«Tutto ciò che ci circonda può essere ripreso per essere testimoniato con significato. Non si può pretendere di conoscere l’essenza delle cose se si pensa che un fiore sia solo un fiore, una nuvola sia solo una nuvola, che il mare sia solo il mare, che un albero sia solo un albero, un paesaggio solo un paesaggio. Vorrebbe dire, che la conoscenza si limita alla superficie senza coscienza».
Lectio Magistralis di Franco Fontana a Torino
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