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«Non uccidere», la bella tv a cui la Rai (e l’Italia) non è pronta

Mamma Rai ce l'aveva quasi fatta: con una talentuosa Miriam Leone in una serie in stile crime americano, il salto di qualità era dietro l'angolo.

3 minuti di lettura

«Non uccidere»: il trampolino di lancio della Rai

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Miriam Leone
it.ibtimes.com

E pensare che ce l’avevamo quasi fatta. Il traguardo era così vicino, la linea sottile tra nazionalpopolare e trash era stata da poco scavalcata, la luce in fondo al tunnel sembrava più nitida. Dopo anni di Manuela Arcuri e Gabriel Garko declinati tra onore e rispetto, coraggio e passione, peccato e vergogna finalmente la televisione nostrana era pronta a compiere il grande salto, mostrandosi se non matura almeno più presentabile.

Mamma Rai alla fine aveva deciso di crederci; mancava solo lei, del resto, a dare una sferzata a un palinsesto degradante per cui verrebbe (ancora) voglia di tranciare di netto il cavo della TV. Dopo la fortunata operazione del remake di In treatment targata Sky e le belle prove noir di Gomorra e Romanzo Criminale, direttamente dalle mani di Giuseppe Gagliardi (regista, non per niente, di 1992) era sbarcata in prima serata Non uccidere, la serie che la buona televisione aspettava da tempo. In onda da settembre ogni venerdì sera, la bella crime fiction è stata subito affidata a Rai Tre (sia mai che la rete ammiraglia abbandoni Antonella Clerici e i bimbi canterini) che in sordina e senza tanta pubblicità ha proposto per un mese o poco più uno spettacolo gradevole e dal sapore vagamente anglosassone.
Accerchiata dall’avanzata streaming di Netflix nonché dalle concorrenti fuori confine Canal+ e BBC, Nostra Signora Rai aveva – saggiamente – deciso di osare. Al netto di una fotografia patinata e pulita nonché di una regia seria e calibrata, Non uccidere si è presentato come un biglietto da visita serio ed invitante, trampolino di lancio per una ripresa (sempre troppo lenta) del panorama televisivo odierno.

Dodici episodi in pieno stile american-british 

www.televisione.it
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Lo scetticismo derivante dalla partecipazione – come protagonista – dell’ex miss Miriam Leone (bellissima anche struccata e con le occhiaie) è stata spazzata via da una prova di recitazione inaspettata, figlia di uno studio accurato e di un personaggio che sembra, incredibilmente, esserle stato cucito addosso. L’ispettrice Valeria Ferro ha avuto una storia travagliata, che le scorre davanti agli occhi verdi come un flashback di condanna: sua madre ha ucciso il padre ed è appena uscita di prigione. La genitrice colpevole è stata interpretata magistralmente da una Monica Guerritore stanca e segnata, altro diamante pregiato di questo prodotto. Ogni puntata veniva poi presentata come caso isolato, con dodici episodi per dodici delitti, in pieno stile american-british.

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Qui però non siamo negli Usa e Cold Case ci piace più perché è “esotico” e lontano che per la qualità complessiva. L’Italia è quello strano Paese che vuole attori come Robert De Niro ma poi si ostina a televotare compulsivamente per far uscire quattro ragazzotti da una casa di Cinecittà. Non uccidere è quanto di più simile a un crime americano sia finora stato prodotto, eppure il pubblico l’ha bocciato. Pollice verso, zapping selvaggio, imitazioni inquietanti in onda a due canali di distanza. La bella fiction di Gagliardi ha scontato il giorno di programmazione infelice, la scarsa pubblicità (è anche on demand ma nessuno lo sapeva) e la concorrenza imbarazzante ma pur sempre sleale. Le puntate già registrate andranno in onda a gennaio, poi si vedrà. La permanenza d’ascolto si è fermata al 25%, con lo spettatore medio che capitando per caso ha guardato 15 minuti di una Torino cupa e grigia per poi tornare a “divertirsi” con telenovelas melense dal sapore patetico.

Una sconfortante Tv generalista 

Sono anni che osserviamo pseudo famosi fingere di sopravvivere alla fame sopra un’isola. Anni che all’ora di pranzo vengono proposti uomini sul trono e finti processi in diretta tv. Il dato sconfortante è che la Tv generalista, ancora una volta, ha abdicato al suo compito; la necessità di educare al bello e al diverso, che non necessariamente può compiacere il pubblico, almeno a primo impatto. Tornare a proporre un bellissimo Gabriel Garko dalle doti recitatorie discutibili frutterà in quanto a share, ma abbassa il livello. Per decenni la tv si è accontentata di un pubblico piatto e “sotto tutela” e avventurarsi in terra incognita poteva prevedibilmente riservare sorprese. I dati auditel e la qualità difficilmente vanno a braccetto, Mamma Rai lo sa bene e per questo si è preservata. Meno Miriam Leone, più pacchi a premi per tutti.

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Immagine in copertina: https://www.raiplay.it/programmi/nonuccidere

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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