Come sappiamo, nella cultura latina i nomi avevano una grande importanza. Gli stessi romani avevano un sistema onomastico basato su tre nomi e perciò definito tria nomina, costituito da: un prenomen personale, un nomen gentilizio e un cognomen soprannominale. A questi si integrava a volte un supernomen connesso ad una caratteristica del portatore (come il celebre cunctator per Quinto Fabio Massimo). Da sempre, quindi, il nome è stato collegato a qualche caratteristica della persona.
Tito Maccio Plauto, considerato uno dei commediografi più importanti della letteratura latina, è stato un maestro in questo. Il detto celebre “nomen omen” (un nome un destino) è tratto proprio da una delle sue commedie, Persa (ovvero Il persiano). All’interno della sua produzione (di cui ci rimangono solamente ventuno commedie su un totale che doveva essere ben più ampio) ha dato infatti ai nomi dei suoi personaggi un ruolo a dir poco centrale.
Il nome di Plauto
Prima di addentrarsi nei nomi dei suoi personaggi, bisogna ricordare che ovviamente anche Plauto aveva un nome, nel suo caso anch’esso apparentemente tria-nominale. Eppure, non dobbiamo dimenticare che Plauto è un servus: rivela lui stesso nella sua commedia Mostellaria, infatti, di essere uno schiavo affrancato, cosa che anche il suo nome manifesta. Tanto più che il modello tria-nominale veniva riservato a coloro i quali avevano la cittadinanza romana e non sappiamo se Plauto effettivamente la avesse.
Perciò il suo nome è rimasto a lungo nel mistero, addirittura fino all’Ottocento si pensava che il suo nome fosse Marcus Accius Plautus. La svolta è arrivata quando su un palinsesto ambrosiano abbiamo ritrovato Titus Maccius Plautus. Titus è semplicemente il nome del padrone che lo affrancò, mentre gli altri due nomi sono estremamente interessanti e suonano più che altro come soprannomi. “Maccius” è infatti il nome di una maschera e quindi potrebbe essere un rimando alla sua attività teatrale e “Plautus” significa “piedi piatti”, cosa che potrebbe rimandare ad un difetto fisico dell’autore oppure ancora alla sua attività di attore, in quanto c’è una posizione di recita teatrale in cui gli attori mettono i piedi “aperti”.
Molti pensano, quindi, che Plauto in realtà si chiamasse semplicemente Titus Plotus e si sia conferito lui stesso il nome di Maccius Plautus sulla base della sua attività. Qualunque sia la verità, già il nome dell’autore così come è riportato in libri e manuali è quello che i romani avrebbero chiamato un nomen loquens, ovvero un nome parlante.
Perché nomi parlanti?
La presenza di nomi parlanti nelle commedie di Plauto risponde ad un’esigenza dell’autore di far comprendere immediatamente allo spettatore ciò che doveva aspettarsi. Le commedie di Plauto, infatti, sono prive di “effetto sorpresa”, tanto che spesso la trama della vicenda veniva totalmente anticipata nel prologo. Gli stessi personaggi, diversamente da quanto accadrà nelle commedie di Terenzio, sono maschere e pertanto non subiscono cambiamenti nel corso della vicenda. Lo spettatore sa già più o meno come agiranno e come si comporteranno, nessuno del pubblico plautino si aspetta un avaro che diventa generoso o un antagonista che diventa buono. Si tratta, quindi, di tipi fissi. In quanto tali, già dai nomi è possibile riconoscere le loro caratteristiche principali, la maggior parte delle volte. Altre volte, il nome è meno trasparente ma riguarda comunque la caratterizzazione del personaggio.
Il teatro, in fondo, è sempre una officina di nomi più o meno di maschere che diventano universali, come ha osservato Migliorini quando parla di commedia dell’arte, in cui vanno a confluire elementi antichi e medievali e contemporanei, letterari e popolari. Così Plauto vuole far confluire l’alto e il basso nei nomi quanto nel contenuto delle sue commedie.
L’idea di creare ad hoc questi nomi per i propri personaggi, aveva, infatti, da parte dell’autore una doppia intenzione: coinvolgere un pubblico colto che è in grado di coglierne l’etimologia oppure affascinare il pubblico più popolare con dei nomi “esotici”. Più di tutti i suoi colleghi, infatti, Plauto ha saputo ideare neologismi e ideare un linguaggio nuovo per rendere originale il suo ricchissimo corpus. Lo dimostra il fatto che noi tuttora usiamo la parola “sosia” per indicare un alter ego, un gemello identico, non sapendo che dobbiamo questa invenzione proprio a Plauto. Infatti, Sosia è il nome di un protagonista dell’Amphitruo di cui Mercurio prende le sembianze. A partire da questo personaggio, che si ritrova con una copia di se stesso, è nato il nome comune “sosia”.
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La «Mostellaria»: un’officina di nomi parlanti
Abbiamo visto che i nomi hanno nel teatro plautino una funzione ben precisa. Le commedie di Plauto sono state divise per categorie (commedia del servo, degli equivoci, ecc.) e presentano maschere fisse, che pertanto hanno una varietà di nomi studiata e ben congeniata in base al ruolo. Troviamo il servo, il parassita, l’avaro ecc.
La commedia in cui è presente il maggior numero di nomi parlanti è senza dubbio la Mostellaria, tra i più importanti troviamo:
- Teopropide: antagonista della vicenda, il suo nome significa “figlio di un indovino”, cosa che dovrebbe indicare il suo carattere ingenuo.
- Tranione: è il personaggio più importante della vicenda e quello il cui nome parlante è più palese. Significa infatti “trappola” (in alcune versioni italiane viene direttamente chiamato così) e dietro questa denominazione vi è tutta la figura del servus callidus, fondamentale nella commedia di Plauto. Infatti, si parla di “commedia del servo” in quanto in alcune commedie Plauto dà dignità a questa figura, che spesso è il reale protagonista, furbo e ingannatore del suo padrone. Troviamo l’esempio più emblematico di servus callidus, che è anche alter ego dell’autore, nello Pseudolus, il protagonista con un nome a dir poco urlante: Pseudolo significa “bugiardo”.
- Grumione: è un altro servus, il suo nome “zolla di terra” e indica la sua origine agreste. Rappresenta il legame delle opere plautine con la terra ed il quotidiano.
- Filolachete: il suo nome significa “amico nella Sorte”, forse in riferimento al fatto che nella vicenda prima egli sia molto fortunato finché, anche sviato dal suo servo, non sperpera i suoi averi. In questo caso è quindi usato ironicamente.
Il «Miles Gloriosus»
Altro caso fondamentale che ricorda l’uso ironico dei nomi, si ha nel Miles gloriosus. Il titolo si riferisce al protagonista, un soldato fanfarone che si vanta di varie imprese, quando in realtà è un megalomane. In questa occorrenza, quindi, gloriosus viene usato in senso ironico e tutt’al più dovrebbe essere vanagloriosus, come spesso viene riportato forse per rendere il titolo più trasparente riguardo la reale trama. Altri nomi in questa commedia sono:
- Pirgopolinice: è il protagonista, il suo nome è composto di tre parole, significa in greco “espugnatore di fortezze e città” da πύργος, “fortezza”, πόλις “città”, e νίκή, “vittoria”, utilizzato, come gloriosus, in senso estremamente ironico. È una delle maschere della palliata (commedia latina).
- Artotrogo: è un parassita e infatti il suo nome significa “roditore di pane”. Plauto è estremamente crudele nel dare nomi ai personaggi parassiti. Troviamo un altro parassita nei Menecmi, che in italiano si chiama Spazzola, mentre nella versione latina è chiamato Peniculus, che significa pennello. Veniva usato metaforicamente per indicare una persona talmente ingorda da “spazzare via” tutto il cibo. Spazzola rappresenta infatti il classico “scroccone”. Ancora Gorgolione, in latino curculio, è il protagonista parassita di una commedia e significa proprio “divoratore di grano”. Infine nello Stichus, il parassita si chiama Gelasimo, che significa “ridicolo”.
- Pleusicle: è l’antagonista. Il nome è basato sul verbo greco πλέιν, “navigare”, poiché è costretto a navigare fino a Efeso per salvare l’amata.
L’archetipo dell’avaro: l’«Aulularia»
Diversi nomi parlanti si trovano anche nell’Aulularia, una delle commedie di Plauto con maggiore fortuna, avendo ispirato L’avaro di Moliére e avendo dato vita alla prima rappresentazione dell’avarizia in modo così estremo, già intuibile dal protagonista, Euclione. Il suo nome richiama il greco εû κλεíω, che significa chiudo bene, poiché tiene chiusa la pentola d’oro che trova e la nasconde.
- Stafila è una donna troppo amante del vino ed il suo nome rimanda a σταΦύλη, il “grappolo d’uva”.
- Liconide, rimanda, a λύκος, il “lupo”, che abbiamo visto essere una parola estremamente diffusa in moltissimi nomi e avente moltissime sfaccettature: a livello sessuale abbiamo allupato, lupa indica una donna di facili di costumi, un lupo può essere un uomo poco curato ma anche un uomo solitario o una persona molto affamata, ecc. Qui è usato in senso negativo perché Liconide stupra Fedria, quindi ritorna il tema del lupo connesso al sesso.
Esistono poi nomi meno elaborati, ma ugualmente parlanti, ad esempio:
- Casina, nella omonima commedia la protagonista si chiama così perché è “la ragazza del destino”, quindi del caso.
- Panciapiena, nella commedia Persa chiamato anche Saturione, che rende più trasparente il significato latino, indica proprio una persona satura di cibo, quindi che mangia moltissimo.
- Truculento, protagonista dell’omonima commedia, indica semplicemente una persona truculenta e quindi violenta.
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